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Le architetture esistenziali di Michelangelo Antonioni: la notte

Questo mese andiamo alla scoperta degli spazi “metafisici” dell’autore ferrarese, nel film scritto assieme a Ennio Flaiano e Tonino Guerra, con protagonista un indimenticabile Marcello Mastroianni

Le architetture esistenziali di Michelangelo Antonioni: la notte

Questo mese andiamo alla scoperta degli spazi “metafisici” dell’autore ferrarese, nel film scritto assieme a Ennio Flaiano e Tonino Guerra, con protagonista un indimenticabile Marcello Mastroianni

Nei primissimi anni sessanta, se volevi fare un film su un uomo errabondo che, nel suo vagabondare casuale, finisse per rappresentare non solo se stesso ma le inquietudini esistenziali di una generazione e i mali sociali del suo tempo, chiamavi Marcello Mastroianni. Così aveva fatto Federico Fellini, che nel 1960 lo aveva voluto come annoiato e decadente protagonista de La dolce vita, e così fece Michelangelo Antonioni che, appena l’anno dopo, lo chiamò a interpretare Giovanni, uno dei due protagonisti de La notte, secondo film di quella che (a posteriori) sarebbe stata definita “la trilogia esistenziale”.

Scritto da Ennio Flaiano e Tonino Guerra (oltre che da Antonioni stesso), La notte è un film che prosegue non solo il discorso filosofico iniziato dal regista con L’avventura, ma che porta avanti il suo lavoro di destabilizzazione e reinvenzione del linguaggio cinematografico e narrativo. Poco amato dal pubblico ma molto celebrato dalla critica del tempo, nel riguardare oggi La notte (lo trovate su RaiPlay e Amazon Prime Video), non è difficile ravvisare al suo interno il discorso destrutturalizzante già iniziato dalla Nouvelle Vague (che, a sua volta, verrà influenzata in maniera importante dal lavoro di Antonioni) e una precisa volontà di andare oltre alle pastoie neorealiste in cui il cinema italiano si era impantanato. E se il discorso sociale e politico della pellicola è forse oggi non più così incisivo (il film racconta del vuoto esistenziale, etico e morale che affliggeva la società dei nuovi ricchi della sua epoca), il suo aspetto formale, invece, è ancora modernissimo e, nel contesto di quel linguaggio cinematografico standardizzato e di pura maniera che oggi ci viene propinato come unico possibile, straordinariamente fresco e dirompente.

Ma non sono io quello che vi deve spiegare perché Antonioni è un maestro seminale del nostro cinema, giusto? Quello che, invece, mi interessa sottolineare di questo film è un aspetto all’apparenza secondario ma che ricopre un ruolo fondamentale nella creazione di quel fascino magnetico e opprimente che il film sa esercitare tutt’oggi: l’architettura. I palazzi, le strade, gli ambienti esterni e interni. Il rapporto di questi elementi gli uni con gli altri e con lo spazio naturale in cui sono calati. Il rapporto dell’uomo con le sue creazioni artificiali, la maniera in cui le domina o il modo in cui, molto più spesso, ne viene dominato, all’interno dell’inquadratura. Il tutto visto dall’occhio cinematografico di Antonioni e attraverso la lente del suo cinema, fatto più di inquadrature e movimenti che di parole. I raffinati disequilibri tra spazi vuoti e spazi pieni, l’uso della luce per separare i piani, la profonda attenzione dedicata alla scelta dei materiali da inquadrare tra superfici riflettenti, acciaio e cemento, permettono ad Antonioni di regalare alla sua pellicola una profondità di campo straordinaria e inedita per il cinema fino a quel punto.

La Roma de La dolce vita è un fastoso sfondo dipinto, una metaforica cartolina illustrata di bellezza, decadenza, splendore e miseria, davanti a cui Fellini fa passare i suoi personaggi. La Milano de La notte di Antonioni è, invece, un luogo tridimensionale, consueto e conosciuto ma, al tempo stesso, alieno e alienante, in cui i personaggi (microscopici in questo spazio ostile), si muovono sperduti.

L’ambiente diventa quindi per Antonioni un personaggio (muto ma non per questo poco comunicativo) di uguale importanza e rilievo rispetto a quelli portati a schermo dallo straordinario cast attoriale (tra cui, oltre a Mastroianni, è d’obbligo ricordare la bravissima Jeanne Moreau, Monica Vitti, Bernhard Wicki). Si potrebbe arrivare all’assurdo di dire che se togliessimo tutti gli interpreti dalla scena e lasciassimo che a parlare fossero solo le architetture del film di Antonioni, il senso della sua narrazione non ne verrebbe intaccato poi di molto.

In conclusione, La notte è un film modernissimo, inquieto e disturbante, che mantiene la sua piena attualità non tanto per i suoi temi espliciti (ormai superati dai tempi) ma per quelli impliciti, che si nascondono nelle sue spettrali architetture.

3 motivi per definirlo un classico:

  •  LA DESTABILIZZAZIONE DEL LINGUAGGIO CINEMATOGRAFICO OPERATA DA ANTONIONI
  • LA FOTOGRAFIA ELEGANTISSIMA DI GIANNI DI VENANZO
  • LA MANIERA IN CUI SE NE VA IN GIRO “A CASO” MASTROIANNI

© Nepi Film, Sofitedip, Silver Films (2), © GettyImages (1)

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