Lo strano caso di Le ali della libertà
telegram

Lo strano caso di Le ali della libertà

Tratto da un racconto di Stephen King, il film di Frank Darabont venne trascurato alla sua uscita nei cinema, ma ha avuto la sua rivincita con l’home video e oggi è il film più apprezzato sull’IMDB

Lo strano caso di Le ali della libertà

Tratto da un racconto di Stephen King, il film di Frank Darabont venne trascurato alla sua uscita nei cinema, ma ha avuto la sua rivincita con l’home video e oggi è il film più apprezzato sull’IMDB

Uno degli aneddoti più divertenti di Stephen King a proposito della ua professione, riguarda una vecchina che un giorno lo fermò al supermercato per esternargli tutto il disprezzo che provava nei confronti del suo lavoro che, a detta dell’anziana signora, era solamente spazzatura, e che l’autore avrebbe dovuto impegnarsi a scrivere storie come quelle del bellissimo film che aveva visto sulla Tv via cavo la sera precedente: The Shawshank Redemption (Le ali della libertà), piuttosto che quelle storie piene di violenza, sesso e mostri. King cercò di spiegare alla signora che quel film si basava proprio su un suo racconto (Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank, uno dei quattro racconti che compongono il libro Stagioni diverse) ma, a detta dello scrittore, non riuscì a convincerla.

Nel corso degli anni, io stesso ho conosciuto moltissime persone che hanno appreso con stupore che la mente che aveva concepito Shining, It, Christine (e mille altre storie horror di enorme successo) era la stessa che aveva dato corpo alla straordinaria vicenda di Andy Dufresne, vice-direttore di banca condannato a due ergastoli per l’uccisione della moglie e del suo amante, e rinchiuso nel carcere di Shawshank. E la cosa mi ha sempre lasciato stupito, sia perché il nome di King appare bello chiaro nei titoli di testa della pellicola, sia perché la storia, nonostante manchino mostri o cose del genere, è quanto di più kinghiano possa esserci nella sua capacità di raccontare le vette e gli abissi dell’animo umano, sia perché Le ali della libertà è il film preferito di tantissime persone interessate a sapere il nome di chi lo ha concepito.
Comunque sia, la pellicola nasce grazie al buon rapporto che Frank Darabont (poi sceneggiatore e regista del film) aveva con King, che gli cedette i diritti di sfruttamento della storia per appena cinquemila dollari. Leggenda vuole che lo scrittore del Maine decise di non incassare l’assegno del regista e che, dopo lo straordinario successo del film, glielo rispedì incorniciato con un bigliettino su cui c’era scritto “nel caso ti servissero i soldi per la cauzione. Con amore, Steve”. 

Nell’adattare il racconto dell’amico, Darabont porta alcuni cambiamenti alla storia originale, sintetizzandola in alcune parti (riduce il numero di alcuni personaggi secondari, riassumendoli in una sola figura), espandendola in altre (approfondendone alcuni passaggi o rendendoli più significativi). Per quanto il racconto di King sia buono (e lo è davvero molto), è pur sempre un racconto e Darabont ha bisogno di una storia più densa e articolata per farlo funzionare sul grande schermo. Il suo adattamento rispetta in tutto e per tutto il lavoro del re dell’orrore, ma lo rende più grande, di maggior respiro, più profondo.


Quando poi arriva il momento di girarlo, Darabont cala i suoi quattro assi: due attori straordinari (Tim Robbins e Morgan Freeman), un direttore della fotografia fuori scala per talento e tecnica (Roger Deakins) e un grande compositore, Thomas Newman. Basterebbero questi quattro elementi per rendere straordinaria la pellicola a cui, comunque, vanno aggiunti una parata di caratteristi straordinari (Bob Gunton, Clancy Brown, William Sadler su tutti) e un maestro del montaggio (Richard Francis-Bruce). Il risultato è un matrimonio in paradiso: una grande storia fatta brillare da uno script perfetto, portata a schermo dalla mano sicura di un regista che sta realizzando il film della sua vita, coadiuvato da straordinari talenti. Ma il segreto che rende Le ali della libertà un classico del cinema è la sua grammatica: senza inventare davvero nulla sul piano visivo, Frank Darabont riesce comunque a fare qualcosa di nuovo, ibridando la Hollywood degli anni d’oro di Frank Capra con quella degli anni Settanta di John Frankenheimer e con la New Hollywood di Spielberg.

Il risultato è un film che riesce a equilibrare il lirismo con il cinismo, la violenza con l’amore, la dolcezza con l’amarezza. Realismo magico in salsa americana, che colpisce al cuore, alla testa e allo stomaco. Il film esce nelle sale nel 1994 e se la deve vedere contro Forrest Gump e Pulp Fiction, che lo mettono in ombra sia al botteghino che nella corsa ai vari premi internazionali. Il suo riscatto avviene qualche anno dopo, nel mercato dell’home video e della televisione via cavo, dove diventa uno dei film più noleggiati e trasmessi. Oggi, su IMDB, occupa il primo posto nella classifica dei film più apprezzati di tutti i tempi.

3 Motivi per definirlo Un Classico:
• La mente, che sta dietro al suo script.
• Il cuore, che gli attori ci mettono.
• L’anima, che il regista sa infondere in ogni immagine e sequenza.

© Shutterstock (1), Castle Rock Entertainment (3)

© RIPRODUZIONE RISERVATA