Nessuno può credere che questo documentario true crime racconti una storia vera al 100%
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Nessuno può credere che questo documentario true crime racconti una storia vera al 100%

Uno sguardo senza freni nell'abisso della violenza, che ha sconvolto il pubblico per la sua aderenza alla realtà

Nessuno può credere che questo documentario true crime racconti una storia vera al 100%

Uno sguardo senza freni nell'abisso della violenza, che ha sconvolto il pubblico per la sua aderenza alla realtà

Frame dal documentario The Killing of America

Il genere del true crime è stato esplorato sia dal punto di vista dell’intrattenimento che della ricostruzione realistica: da un lato, tramite i film che creano universi fittizi basati su fatti reali, dall’altro, attraverso i documentari che offrono uno spietato sguardo sulla nostra società: quest’ultimo aspetto è incarnato dall’esperimento del 1981, The Killing of America, che non fa alcuno sconto nella sua rappresentazione della violenza e del crimine che hanno segnato gli Stati Uniti dal boom economico del secondo dopoguerra.

Rilasciato pochi anni dopo il film mondo Le facce della morte, questo documentario si oppone completamente al sensazionalismo e al cosiddetto “shock value”. Come molti altri titoli dello stesso genere, è strutturato in vignette collegate da una narrazione, ma ciò che lo distingue è la sua capacità di mostrare come la violenza si accresca e colpisca ogni strato della società.

Nei decenni successivi agli anni ’50 e ’60, la cultura popolare ha spesso idealizzato quel periodo storico, come dimostrato dai programmi televisivi come Happy Days e dai film come American Graffiti, che rappresentavano l’innocenza del “sogno americano”. Tuttavia, con il senno di poi, sappiamo che questo apparente idillio altro non era che una meschina facciata e che, in realtà, terribili crimini come quelli commessi da Charles Starkweather e Ed Gein si stavano verificando al contempo. The Killing of America inizia il suo discorso sulla violenza con l’assassinio di John F. Kennedy, visto come il catalizzatore di una discesa che avrebbe segnato tutto il film. Gli assassinii di Robert F. Kennedy e Martin Luther King sono presentati come simboli di speranza tradita, interrotti tragicamente da mani assassine.

A questa speranza per un futuro migliore si contrappone infatti l’ascesa dei disordini sociali, come la lotta per i diritti civili e il crescente disprezzo per l’impegno americano in Vietnam. Le immagini provenienti dal conflitto, trasmesse in diretta nelle case degli americani, segnano una svolta nella cultura popolare, contribuendo alla rappresentazione della violenza nei film horror, come Halloween e L’ultima casa a sinistra, dove la violenza invade le tranquille periferie americane.

Uno degli aspetti più inquietanti del documentario è poi l’approfondimento sui cosiddetti “salvatori pazzi“: individui che, pur compiendo atti di violenza indicibili, sono presentati come esseri umani comuni. Il termine si riferisce a crimini che emergono dalla controcultura, come il desiderio di risposte a un mondo che sembra precipitare in un caos senza speranza. Ne sono esempi emblematici gli omicidi compiuti dai seguaci di Charles Manson e il suicidio di massa di oltre 900 persone, guidate da Jim Jones in Guyana: entrambi, sono “figli” del periodo storico in cui le persone cercavano risposte e soluzioni a un mondo che sembrava fuori controllo.

The Killing of America si concentra anche su alcuni dei serial killer più noti degli anni ’70, come David Berkowitz, John Wayne Gacy e, in particolare, Ted Bundy: il fascino della sua personalità carismatica e la brutalità dei suoi crimini mostrano il contrasto inquietante tra l’apparenza di normalità e la capacità di compiere atti disumani. Le interviste a criminali come Edmund Kemper, la cui intelligenza e carisma celano una personalità patologica, enfatizzano la “maschera della sanità” che molti di questi individui riescono a indossare.

Un altro punto centrale del documentario è la critica al sensazionalismo mediatico. The Killing of America, basato su filmati d’archivio e fotografie non manipolate, denuncia come i media abbiano contribuito a diffondere e a normalizzare la violenza. Un esempio lampante di questa critica è il caso di James Hoskins, che, dopo aver preso in ostaggio dei giornalisti, denuncia come la stampa sia interessata solo a raccontare i crimini commessi nei suoi quartieri. Hoskins, pur non ferendo nessuno, si suicida quando la polizia irrompe nella stazione; questo episodio rappresenta l’esasperazione di una popolazione che vede nella violenza non solo un fenomeno quotidiano, ma anche un prodotto da esporre e consumare attraverso i media.

Seppur realizzato in un periodo storico diverso dal nostro, The Killing of America mantiene una potenza inquietante e una rilevanza che va oltre la sua epoca. Ci obbliga a confrontarci con una realtà ancora cruda, dove la violenza è una parte costante della nostra esistenza e dove la speranza sembra svanire lentamente. Questo documentario riflette, senza censure, una società che sta perdendo il suo equilibrio, un riflesso che, seppur spaventoso e grottesco, non possiamo ignorare.

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Fonte: MovieWeb

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