Sembra un vecchio film del Muccino maggiore Nessuno si salva da solo, c’è la stessa fiducia nelle parole e nelle contorsioni espressive come strumento per raccontare la coppia, dove gli ambienti / le luci contano invece poco e niente (la location principale, il ristorante, è fuori di qualsiasi senso, andrebbe altrettanto bene per la pubblicità di un digestivo, sotto vedete la foto), ogni quadro segue una logica propria, è tutto limpido, patinato, un po’ incongruo (la stessa sensazione che si aveva guardando Venuto al mondo, specie nelle scene più terribili, per esempio i bombardamenti). E c’è la stessa agitazione borghese, la stessa isteria.
Delia e Gaetano (Jasmine Trinca e Riccardo Scamarcio) si ritrovano per una cena di chiarimenti, sono separati e hanno due figli piccoli. Li vediamo discutere, scambiarsi cattiverie, mentre il montaggio alterna al presente il passato via via più prossimo, la costruzione del loro amore, l’arrivo dei bambini, la crisi, i tradimenti. Viene in mente anche Blue Valentine, ma se la struttura è simile cambia del tutto la fiducia nel non detto, molto del film di Cianfrance è inteso senza che sia pronunciato, o comunque viene detto altro, qui invece si parla continuamente (quando le cose accadono, per esempio l’incidente al bambino, o la tresca di lei, restano fuori campo), tutto viene rinfacciato allo spettatore, l’amore e l’odio.
E tuttavia, man mano che si procede, è proprio la qualità ipnotica del dramma borghese parlato a trascinare dentro al film, la costruzione sociale / politica è ovvia e funziona (lei figlia ricca di un famoso foniatra, ipersensibile, maniaca del salutismo, bulimica; lui figlio di un sindacalista, intellettuale frustrato che finisce a scrivere reality e brutta fiction, curioso, pieno di senso pratico), alla fine la ragione di questi film non è nel viaggio dei personaggi ma in quello dello spettatore, c’è molta partecipazione che ripaga del poco stupore. La bravura di Trinca e Scamarcio, e l’architettura della Mazzantini, bastano quindi per commuoversi, almeno se si sta al gioco; se si accetta questo genere di messa in scena vagamente pubblicitaria (che poi è la stessa di Noi e la Giulia e di La legge del desiderio, ed è ben meglio della norma a cui eravamo abituati), e questa idea di racconto, di melodramma che in fondo ammette la sua ovvietà.
L’intervista con Jasmin Trinca è nel numero di Best Movie di marzo ora in edicola.
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