“Il film quintessenza della disco music”. Definizione efficace quanto riduttiva di uno dei film più importanti degli anni 70. Saturday Night Fever ha sì avuto il merito di portare alla fine degli anni 70 il ritmo in 4/4 sul grande schermo (e di lanciare la carriera di John Travolta) ma non è un film sulla discomusic, o almeno non solo. In quegli anni a New York dettavano legge discoteche di culto come lo Studio 54 o lo Xenon, locali alla moda di Manhattan, ma Tony Manero, il protagonista del film, non è lì che andava a ballare. Il suo territorio erano i quartieri di Bay Ridge e Bensonhurst nel distretto di Brooklyn, zone dove ancora oggi è fortissima e radicata la presenza italoamericana.
Questi due quartieri non sono certo una meta turistica, eppure quelle strade regalano ad ogni cinefilo forti emozioni (senza contare che a Bensonhurst nel periodo di Natale molti proprietari di villette si sfidano in una singolare esibizione di addobbi natalizi con investimenti di migliaia di dollari e risultati spettacolari).
È proprio l’ambientazione periferica che ha fatto di Saturday Night Fever un film importante che va oltre le immortali sequenze di ballo, raccontando la voglia di riscatto sociale dei giovani figli degli immigrati, i problemi di integrazione razziale con le altre etnie, il disagio giovanile, le tensioni familiari, i rapporti con l’altro sesso, questi ultimi sempre in bilico tra squallore e idillio.
La panoramica iniziale del film, un volo d’uccello sul Ponte di Verrazzano con le Torri Gemelle sullo sfondo, ci mostra la skyline completa di una Manhattan che appare distante, lontana, nonostante la rapidissima linea D della metropolitana la colleghi con la 86th Street di Bay Ridge. Ed è lì che ci porta l’occhio della telecamera, sugli stivaletti tacco 5 di Tony Manero, che calcano il marciapiede, con passo cadenzato al ritmo di Stayin’ Alive dei Bee Gees, sino alla 20th Street.
Sono ambienti metropolitani, popolari, mattoni rossi e pannelli grigi, serrande invecchiate e una ferrovia sopraelevata a fare da cornice, luoghi dove ancora oggi è possibile mangiare un trancio di pizza da Lenny’s al n. 1969 dell’86esima (oggi affiancato da un coffe shop della Starbucks), così come faceva John Travolta prima di prendere servizio nel negozio di ferramenta al n. 7305 della 5 Avenue, all’incrocio con la 73esima strada. Il negozio si chiama Bay Ridge Home Center, oggi ha cambiato gestione ed è stato ristrutturato, ma è sempre un negozio di ferramenta e vernici.
E anche la casa dei Manero sta ancora lì, dignitosa e rimbiancata, al n. 221 della 78esima Strada di Bay Ridge. Una residenza tipica della middle class americana, di quelle che un bravo padre di famiglia acquista grazie a un buon lavoro e al sacrificio quotidiano. Qualcosa di meglio di certi casermoni del Bronx e qualcosa in meno, anche molto in meno delle residenze della upper class di Manhattan.
Il Ponte di Verrazzano
Stephanie: Tu sai tutto del ponte, vero?
Tony Manero: Sì, è vero, io so tutto di quel ponte. Sai un’altra cosa? C’è un tizio, sì un tizio sepolto là dentro in quel cemento.
Stephanie: Davvero?
Tony Manero: Vuoi sapere com’è successo? Stavano ancora lavorando al ponte in quel periodo. Ci stavano gettando il cemento e lui è scivolato dalla parte… dalla parte superiore del ponte e così lui è caduto dentro… che morte stronza…(ridono)
Tony Manero: Io ci vengo spesso qua… mi vengono un sacco di idee..
Il ponte di Verrazzano (Verrazano Narrows Bridge, sì, negli USA si scrive con una sola “z”) unisce Brooklyn a Staten Island e non è il più famoso di New York, né il più antico, essendo stato inaugurato nel 1964, ma ha il suo grande fascino. È stato per venti anni il ponte sospeso più lungo del mondo ed è l’affollatissimo punto di partenza della Maratona di New York. Come sa benissimo il protagonista del film, il ponte è lungo 1.600 metri e largo 31,5 ed è per Tony Manero un ottimo argomento di conversazione. Ma il cinema lo ricorda per i momenti di tenerezza tra Tony e Stephanie o per quella strafottente passeggiata in equilibrio che Tony fa davanti a una adorante Annette, omaggiata dalla fatidica frase “Hey Annette, te gusta l’aragosta?”, al ritmo di un kitchissimo ma efficace adattamento disco di “Una Notte sul Monte Calvo” di Mussorgsky.
2001 Odyssey Disco
Frank Manero (il fratello prete di Tony) : Sì, credo che questo posto sia molto energetico!
Connie: Hey Tony, a letto vai forte come sulla pista da ballo?
L’ Odyssey 2001 (con l’insegna orizzontale che riporta Oddyssey con 2 “d”) era una discoteca di quartiere, al n. 802 della 64th Street di Brooklyn, a guardarla da fuori anche un po’ scalcagnata come si direbbe a Roma: pareti anonime, pochi colori e all’interno una banale pista in metallo. Solo che, piccolo particolare, lì si esibivano i Trammps, Carol Douglas, i Tavares, Gloria Gaynor, I Double Exposure, Evelyn “Champagne” King, praticamente la storia della discomusic newyorkese. Con poche, ma efficaci, ristrutturazioni, prima fra tutte la nuova dancefloor in plexiglass e luci multicolori, divenne nel settembre del 1976 il set delle sequenze di ballo più famose della storia del cinema.
Nonostante il boom del film e l’affetto dei fedelissimi frequentatori la discoteca, dopo qualche anno di grande successo, ha chiuso i battenti nel 1987 per trasformarsi nella disco-gay Spectre, in attività sino al 1995. L’edificio è rimasto in disuso sino al febbraio di 10 anni dopo, quando (sacrilegio!) è stato demolito e la pista da ballo dove Travolta ha danzato You Should Be Dancing, Night Fever e Disco Inferno è finita in vendita a pezzi su ebay come riportato sul NewYork Times.
E oggi? Oggi, nulla. Le mura dell’ Odissey 2001 hanno lasciato il posto a cosa? Beh, non ce la faccio… guardatevi la foto!
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La sezione New York Movies è curata da Francesco Argento. Giornalista pubblicista, vive a Roma, si occupa di cinema, letteratura e fumetti, e dal 1995 al 2006 ha collaborato all’edizione italiana di Batman curando articoli e redazionali. È un appassionato studioso della città di New York, alla quale ha dedicato il blog Romanzi a New York.
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