Nicola Nocella: l’assurdo del mio mestiere d’attore – Parte 3
telegram

Nicola Nocella: l’assurdo del mio mestiere d’attore – Parte 3

L'uscita in sala dei film, la promozione e le mangiate alle conferenze stampa nei divertenti racconti di Nicola Nocella nella rubrica Belushi vive

Nicola Nocella: l’assurdo del mio mestiere d’attore – Parte 3

L'uscita in sala dei film, la promozione e le mangiate alle conferenze stampa nei divertenti racconti di Nicola Nocella nella rubrica Belushi vive

Il primo giorno di set non hai mai paura. La paura l’hai avuta tutta fino al giorno precedente, la sera prima. Poi, quando arrivi sul set, quando ritrovi il tuo camerino sempre uguale, quella macchina del caffè che lo fa orrendo, sempre lei in tutti i set, da cui rifiuterai di aver ristoro fino alla seconda settimana, quando invece non farai altro che bere caffè; quando entri in camerino e trovi i tuoi vestiti appesi bene benissimo, asciutti e profumati e stirati, gli stessi che ieri hai distrutto in una grotta al buio, sudandoci dentro come in una fornace e ti chiedi come sia possibile; quando vai al camper trucco e ti accorgi che per fortuna quei reparti lì sono sempre sorridenti e propedeutici al superamento della giornata, e quando poi senti il “Partito!” per la prima volta, e danno il ciak e pensi «Ok, cominciamo», smetti di avere paura e torni sulla terra. Perché tutto quello che c’è prima è andato. Adesso devi essere all’altezza del gruppo di professionisti che hai accanto.

E sei la punta dell’iceberg, quella che squarcia il Titanic, ma quello che lo affonda davvero è il blocco sommerso, quello che non si vede, quello che imprime la vera forza: la troupe. E che io, oggi, paragoni il mio lavoro e le persone che lo fanno a una delle più grandi catastrofi del ventesimo secolo, vi dà l’esatta dimensione di che cosa possa essere ogni volta fare un film: o una cosa epocale o una grande catastrofe. Ehi, non è mica vero, in mezzo c’è di tutto. Ma ve l’ho detto, a molti piace raccontarsela così.

Io sono quello sbagliato, lì in mezzo. Ho vissuto con un dottore (vero eh, un medico, mica un commercialista) e conosco benissimo la differenza che passa tra il salvare la vita a qualcuno e dire una battuta detta bene. E sono quello che sui set, a un certo punto, dice «Ehi, non stiamo scoprendo la cura per il cancro, rilassiamoci ragazzi». Di solito, quello è il momento in cui mi tagliano le scene e mi mandano a casa.

Quando un film è finito, la troupe lo archivia per sempre, gli attori, invece, iniziano a sudar freddo. Uscirà? Distribuito come? Esce d’estate? In quante copie? 12? Davvero? Contro un Avengers? E chi lo guarda? Nessuno. Il problema è quando capita che non lo guardi nessuno nemmeno a ottobre. O a Natale. O a febbraio. I distributori, e ormai hanno ragione, hanno paura. E allora noi attori dobbiamo “metterci la faccia”. E lì arriva tutto ciò che è “Dopo”: l’uscita in sala, la promozione, le conferenze stampa. I giornalisti di cinema, la stampa. Quella amica, che siccome ti è amica preferisce non esporsi. Quella nemica, che non vede l’ora di farlo. Io, di amici giornalisti ne ho tantissimi. Nemici, pochissimi. Sono uno che ha sempre bevuto e mangiato moltissimo: alle presentazioni dei film e ai festival ci vado solo per il buffet. Ed è lì che ti fai gli amici veri.

Quando un film è finito, se non si tratta di uno di quei rari casi di film davvero grandi, che hanno già una distribuzione garantita, comincia una guerra fatta di mille battaglie che i produttori portano avanti per portare il film in sala. Al cinema. Abbiamo ancora questo brutto vizio di voler far vedere i film prima al cinema. A noi piacciono da morire quei posti al buio. Dove sei circondato da gente che non conosci, che sta provando la tua stessa emozione. E che fa un sacco di rumori inutili. Ecco perché poi finiamo tutti nelle dark room, almeno lì, visti i tempi, ci troviamo più gente.

Distribuire un film è un’impresa. Promuoverlo è una follia. E di questo vi racconterò nell’ultima parte di questa epopea spalmata in quattro puntate che dovevano essere tre, come se fossi Ortolani e il suo Ratman, e invece sono solo quello che vi racconta l’assurdo del mio mestiere! Ah, il prossimo mese vi spiego perché gli uffici stampa mi odiano così tanto. Se sopravvivo al caldo. E a loro.

Brano ascoltato in loop mentre scrivevo: “Mad About You” – Hooverphonic

Courtesy of Nicola Nocella © Medusa Film/DueA

© RIPRODUZIONE RISERVATA