Nope: il vero orrore è negli occhi di chi guarda. La recensione del nuovo incubo di Jordan Peele
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Nope: il vero orrore è negli occhi di chi guarda. La recensione del nuovo incubo di Jordan Peele

Ufo, cavalli, nuvole immobili e il terrore da scrutare in alto nei cieli nel terzo film dell'acclamato regista di Scappa - Get Out e Noi

Nope: il vero orrore è negli occhi di chi guarda. La recensione del nuovo incubo di Jordan Peele

Ufo, cavalli, nuvole immobili e il terrore da scrutare in alto nei cieli nel terzo film dell'acclamato regista di Scappa - Get Out e Noi

Nope Jordan Peele
PANORAMICA
Regia (4)
Interpretazioni (3.5)
Sceneggiatura (3.5)
Fotografia (3.5)
Montaggio (3.5)
Colonna sonora (3)

OJ ed Em (Daniel Kaluuya e Keke Palmer) sono due fratelli che vivono in una gola della California rurale, dove gestiscono insieme al padre, Otis Haywood Sr. (Keith David), un ranch di famiglia, e sono eredi di un’antica dinastia che addestra cavalli per il cinema. Quando il genitore muore, venendo colpito da un nichelino caduto inspiegabilmente dal cielo, OJ ed Em ereditano la proprietà. Mentre il primo cerca di mantenere l’attività paterna per preservare l’eredità del genitore, la seconda spera di trovare fama e celebrità a Hollywood.

Ben presto, a causa di una serie di imprevisti e dell’inevitabile cambiamento degli scenari tecnologici del cinema, i fratelli Haywood si ritrovano pieni di problemi finanziari e, come se non bastasse, i cavalli sembrano svanire nel nulla, mentre quelli ancora presenti sono nervosi e hanno reazioni violente. OJ si vede costretto allora a vendere alcuni cavalli a Jupe Park (Steven Yeun): un ex bambino prodigio della televisione che ha aperto un parco divertimenti dalle loro parti, lucrando con agghiacciante lucidità su una tragedia personale che ha segnato la sua infanzia e musealizzando addirittura il lato oscuro dell’intrattenimento e in particolare della sitcom cui aveva preso parte, Gordy’s Home, sotto forma di barzelletta macabra e di sketch da far rizzare i peli sulla nuca (Peele, emblematicamente, ha legato i suoi esordi proprio al mestiere di comico).

Nope ci propone fin dai primi minuti una storia di terrore e orrore in cui il nostro sguardo coincide immediatamente con gli occhi e il punto di vista dei personaggi, alle prese con quello che pare non poter essere altro che un UFO messo lì a sovrastare le loro teste. Come già nei suoi due film precedenti, Scappa – Get Out e Noi, Jordan Peele gioca con un’idea high concept da proporre agli spettatori in chiave di paradosso allo stesso tempo massimalista e metaforico, in modo da forzare i confini e le scorciatoie risapute del genere e portarlo verso nuovi, accidentati territori teorici, nei quali quale mai come in questo caso la spada di Damocle del grande dispositivo di tensione passa sopra le teste di tutti e oscilla anche minacciosamente da un capo all’altro di quello che è, ovviamente, un paesaggio prima di tutto politico, illuminato da fiammelle fioche e lontane, spesso sparute e tutte da decifrare.

Se Get Out rifletteva sulla questione razziale non del tutto dissepolta nell’America post-Obama nella maniera più sfacciata possibile e Noi eleggeva lo sdoppiamento di una famiglia di neri (altrettanto americani) come massimo simbolo della violenza e del rimosso del passato degli States, in Nope la riflessione si allarga alle dinamiche più perverse e distorte dello show business a stelle e strisce, con un grado di ambizione e astrazione della messa in scena se possibile ancora più alto e una dimensione da horror d’autore vecchio stampo perfino più marcata, che rigetta inevitabilmente Peele nell’agone dei Carpenter e dei Romero – mutatis mutandis – con rinnovata spavalderia (a chi lo acclamava di recente come miglior regista horror di tutti i tempi, Peele stesso ha tuttavia replicato: «Adoro il suo entusiasmo, ma non posso tollerare un’altra calunnia nei confronti di John Carpenter»).

Che si tratti di un film sull’atto stesso del vedere – e in particolare sui pericoli e le insidie insite nella sovraesposizione delle nostre soggettività guardanti e sul peso, forse eccessivo, che la società di oggi affida al filtro individuale e onnipresente delle esperienze – Nope lo ribadisce a più riprese, fin dalla citazione in apertura del profeta Naum («Getterò su di te un’abominevole lordura, ti umilierò e ti esporrò al ludibrio»). Em dopotutto convince OJ a installare delle telecamere nel ranch nella speranza di capire cosa sta accadendo e di registrare un video che possa farli arricchire, magari vendendolo a Oprah Winfrey, salvo poi scontrarsi con un’immobilità del dato sensibile e di ciò che si vede che la dice lunga sulle pastoie alle quali la pigrizia e l’automatismo delle nostre percezioni (anzitutto visive) spesso ci costringono.

I protagonisti di Nope, che chiaramente oltre a intercettare la fantascienza è anche un western, sono cowboy asiatici e afroamericani, questi ultimi discendenti addirittura del fantino afroamericano ripreso al galoppo da Eadweard Muybridge nel 1878 nella serie di fotografie Il cavallo in movimento, ritenuta un prototipo assoluto di cinematografia e in grado di fare del suo autore una sorta di “nonno del cinema”. Quest’inside joke da storia del cinema hardcore non è solo un ninnolo e un vezzo cinefilo qualunque ma tradisce benissimo la volontà di Peele di risalire alle origini delle pulsioni e delle ossessioni scopiche del mezzo cinematografico e delle sue pratiche per costruire uno spettacolo audiovisivo in cui saper muovere la macchina da presa e giocare con le immagini in chiave ancestrale vale più di qualunque sconcerto a buon mercato, le piccole minuzie contano come i grandi sobbalzi e la negazione – di sé, e dunque anche del proprio sguardo – può rivelarsi paradossalmente la massima forma di affermazione identitaria e la sola, possibile falla nel sistema.

Foto: Universal Pictures, Monkeypaw Productions

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