Oculus: riflessi di paura, tra finzione e realtà, nell'horror di Mike Flanagan. La nostra recensione
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Oculus: riflessi di paura, tra finzione e realtà, nell’horror di Mike Flanagan. La nostra recensione

Atmosfere inquietanti e tensione da trhiller psicologico: la storia della famiglia Russell ci ha convinto su tutta linea. Da oggi nelle sale italiane in anteprima mondiale

Oculus: riflessi di paura, tra finzione e realtà, nell’horror di Mike Flanagan. La nostra recensione

Atmosfere inquietanti e tensione da trhiller psicologico: la storia della famiglia Russell ci ha convinto su tutta linea. Da oggi nelle sale italiane in anteprima mondiale

L’horror soprannaturale è un filone che al cinema è stato sfruttato a mani basse. Per questo, ormai, si tende a pensare che tutto sia prevedibile quando si tratta di fantasmi e case infestate. Spaventarsi nel buio della sala sembra essere diventato impossibile. Almeno fino a quando non spunta un film diretto da un giovane e promettente regista, tratto per di più da un suo cortometraggio. Di pellicole da brivido come Oculus non se ne vedevano da un pezzo, non perché il film di Mike Flanagan racconti una storia che brilli per originalità, ma per il modo in cui la sviluppa, riportando in auge una potenza orrorifica dal sapore “vintage” e nostalgico.

La vicenda ruota intorno a uno specchio che da secoli sembra uccidere di morte violenta chi lo possiede. Succede anche ai genitori di Kaylie (Karen Gillan) e Tim Russell (Brenton Thwaites), della cui morte, però, viene accusato il secondo, che passa undici anni in carcere. Una volta uscito, ormai 19enne, Tim riabbraccia la sorella, determinato a rifarsi una vita. Peccato che lei abbia altri piani: la ragazza ha infatti recuperato lo specchio maledetto e insieme al fratello lo trasporta nella vecchia casa di famiglia, per distruggerlo una volta per tutte. I due fratelli, però, hanno elaborato il lutto in modi diametralmente opposti: Kaylie è ossessionata dallo specchio, mentre Tim è scettico, e ha superato la tragedia in maniera più razionale (o almeno è quello che crede di aver fatto).
Sin dall’inizio la storyline procede su due linee temporali parallele (il 2002, con i protagonisti bambini, e il 2013, il presente), che convergono sempre di più sino a fondersi, grazie a flashback via via più frequenti e intensi. Il risultato è una profonda sensazione di straniamento, con realtà e finzione che si confondono di continuo, in un climax che porta i livelli di tensione a picchi altissimi.

Il centro di tutto è lo specchio, qui da intendersi come simbolo dell’immaginario di Kaylie e Tim, ossia quel mondo di ricordi (o di riflessi, proiezioni della mente), che proprio attraverso l’oggetto diabolico li cattura, inquadratura dopo inquadratura, innescando uno stato di alienazione totale, non solo in loro ma anche nello spettatore, che cerca invano di mettere insieme i pezzi del puzzle. Flanagan costruisce una distorsione del percepibile netta e coinvolgente, con personaggi molto ben caratterizzati, atmosfere da thriller psicologico e una colonna sonora vibrante, che aumenta l’effetto claustrofobico del film, girato soprattutto in interni. Poco importa se l’uso della tecnologia, con telecamere, webcam, e cellulari – a fare da occhio rivelatore che vede laddove l’uomo non riesce ad accedere – fa ormai parte dei cliché del genere. Ogni codice è reinterpretato e riprodotto con attenzione, e, cosa più importante, la sensazione del già visto non è mai di casa.

Al di là dei classici trucchetti del mestiere, la paura che si prova ha radici più profonde, che fanno leva sul dramma familiare dei protagonisti: chiunque ha il terrore che il Male (di qualunque natura sia) si addentri nel nostro privato, sconvolgendolo. Così come chiunque, di fronte a un trauma, crea sistemi di difesa che gli permettono di andare avanti, metabolizzandolo. La presenza dello specchio frantuma in mille pezzi questi schemi di protezione, esponendo con violenza Kaylie e Tim ai loro demoni personali, senza più barriere. E allo stesso tempo, Flanagan ci spoglia di tutte le nostre aspettative e certezze, tenendoci in bilico tra due mondi. Una volta riaccese le luci, affiora una consapevolezza: l’horror al cinema fa ancora paura. Molta.

Sotto, il trailer di Oculus:

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