Pagare per sognare?
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Pagare per sognare?

È il triste destino che aspetta tutti noi secondo tre giovani filmmaker genovesi che lo hanno raccontato in Pathos, corto ad alto contenuto di effetti speciali in cui dramma e fantascienza si fondono

Pagare per sognare?

È il triste destino che aspetta tutti noi secondo tre giovani filmmaker genovesi che lo hanno raccontato in Pathos, corto ad alto contenuto di effetti speciali in cui dramma e fantascienza si fondono

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di Best Movie di ottobre 2009

Cosa succederebbe se l’uomo arrivasse un giorno a dover pagare per i propri sensi e per i propri sogni? Una domanda spiazzante, di quelle cui un filosofo risponderebbe con un saggio e un regista con un film. E così è stato infatti nel caso di Dennis Cabella, Marcello Ercole e Fabio Prati. Tre giovani filmmaker genovesi, amici fin dall’infanzia, che della loro passione per il cinema hanno saputo fare un mestiere. Ex studenti universitari i primi due – ora titolari della società di video produzioni da loro stessi fondata Illusion – e restauratore il terzo, i tre registi si sono sentiti piovere sulla testa la fatidica domanda nel 2002, durante la lavorazione del loro precedente lavoro (l’hitchcockiano Strane coincidenze) e cercato una risposta per i successivi cinque anni. Il risultato è stato Pathos, cortometraggio di 17 minuti, tutto ambientato all’interno di una futuristica stanza, anonima e spoglia, che ci proietta in un futuro prossimo, in cui l’uomo si è ridotto a vivere isolato da tutto e tutti, schiavo di un sistema da lui stesso creato che gli somministra sogni e sensazioni virtuali attraverso una sorta di cordone ombelicale che ne controlla ogni pensiero e movimento.

«L’ambientazione di un futuro non ben identificato», spiegano gli autori – che per il loro film hanno attinto alle atmosfere respirate in alcuni film degli anni’80, come Blade Runner e Brazil di Terry Gilliam, nei romanzi cyberpunk di William Gibson e nei manga di Masamune Shirow e Katsushiro Otomo -, «funge solo da maschera della realtà dei nostri giorni, in cui i pensieri sono già installati nella mente degli individui. I desideri, i sogni, le sensazioni sono inglobati in un meccanismo burocratico spietato, dai tempi tecnologici troppo veloci per la nostra percezione, in cui l’errore non è concesso». Per colpire nel segno e raccontare le conseguenze cui tutto questo potrebbe portare, i tre registi hanno immaginato una Terra soffocata dai rifiuti, in cui la civiltà è solo un lontano ricordo. «Volevamo creare un’ambientazione che rappresentasse un futuro già logoro. Un luogo che in passato doveva essere stato asettico, perfetto e lasciato “marcire”», raccontano gli autori.

Per rendere tutto questo attraverso le immagini in modo verosimile e coinvolgente i registi hanno capito che avrebbero dovuto affidarsi alla “magia” della computer grafica. «L’idea iniziale era di costruire una stanza di metallo. Ma poi ci siamo resi conto che sarebbe stato troppo costoso. Così abbiamo optato per il bluscreen che abbiamo costruito apposta per il corto». La decisione di utilizzare la computer grafica è stata quindi successiva alla stesura del copione e dettata da necessità di realizzazione. Una scelta controcorrente rispetto alle abitudini del nostro cinema che della computer grafica fa un uso limitatissimo: «Il fatto», sostengono i filmmaker, «è che tutti sono convinti che solo in America la sappiano usare, semplicemente perché lì la usano da più tempo. E per questo da noi non viene neanche presa in considerazione. Ma in realtà anche qui in Italia c’è chi la sa usare». E basta dare un’occhiata al loro cortometraggio per rendersi conto che è davvero così. Nemmeno i costi possono essere utilizzati a giustificazione dello scarso interesse che il cinema made in Italy riserva alla computer grafica: «Il budget complessivo del corto si aggira intorno ai 30 mila euro», afferma Marcello Ercole che racconta: «per le riprese abbiamo usato una delle prime videocamere ad alta definizione, quando tutto il settore utilizzava ancora la bassa, il corto ha richiesto 1 anno di pre-produzione, 10 giorni di riprese e 4 anni di post-produzione».

A ripagare tutta la fatica sono già arrivate le prime soddisfazioni: l’ammissione al Sigraf di Tokyo, una fiera mondiale molto selettiva di computer grafica, alta tecnologia e la partecipazione ad altri importanti festival come il Fantastic Fest in Texas e il Figes in Spagna. Nel frattempo i tre registi e amici non stanno certo con le mani in mano: «Abbiamo già pronta nel cassetto una prima versione di un lungometraggio di Pathos e a marzo andremo a Tokyo per presentare il corto a due case di produzione». Quando si dice intraprendenza…

Per informazioni e per vedere il trailer e alcune scene extra del film andate su www.findthepathos.com

I registi di Pathos, Dennis Cabella, Marcello Ercole e Fabio Prati. Il cortometraggio dura di 17 minuti, è stato realizzato in live action e computer grafica e ha richiesto una lavorazione di 5 anni
Una scena di Pathos realizzata con la tecnica del bluscreen, procedimento che consiste nella sovrapposizione di attori reali a uno scenario virtuale completamente realizzato al computer in post produzione

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