Paolo Sorrentino: i 5 motivi per cui il regista di Youth piace all'estero
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Paolo Sorrentino: i 5 motivi per cui il regista di Youth piace all’estero

Ecco perché il cinema del regista italiano è diventato uno dei più esportabili

Paolo Sorrentino: i 5 motivi per cui il regista di Youth piace all’estero

Ecco perché il cinema del regista italiano è diventato uno dei più esportabili

Paolo Sorrentino, il regista che piace molto agli italiani, ma soprattutto agli stranieri, tanto da essersi meritato l’Oscar per La grande bellezza. Ma come mai un regista che racconta l’Italia e che per anni ha usato quasi sempre un attore partenopeo come Toni Servillo fa centro nell’immaginario degli stranieri? Ne abbiamo analizzati i motivi ed ecco le conclusioni a cui siamo arrivati.

1) La sua regia immaginifica e malinconica.

Può essere sontuoso e barocco come ne La grande bellezza, tanto da essere paragonato a Federico Fellini, regista sempre caro fuori da casa nostra. Non è mai banale o sciatto («Non vedrete mai i motorini parcheggiati nel miei film» ha spesso detto parlando del suo modo di girare). Anche quando sofferma il suo sguardo su personaggi sordidi come l’usuraio de L’amico di famiglia non rinuncia al suo stile immaginifico. Sa osare come pochi altri fanno in Italia. Basta osservare gli “esplosivi” titoli di testa di Il divo (il film su Andreotti con l’onnipresente Servillo), in cui vengono riassunti i misfatti più grandi della storia italiana (dall’omicidio Pecorelli alla strage di Capaci), per ammirare la potenza visiva di cui è capace. La sensualità della sua cinepresa è capace di farci perdere in un mondo di malinconia e di splendore, come avviene in Youth, che suscita ammirazione e plauso soprattutto in un pubblico non avvezzo a tanta ricercatezza.

 2) Nel cinema di Sorrentino non c’è autocommiserazione, ma uno sguardo oggettivo, quasi spietato, sul nostro Paese e sulle grande tematiche dell’esistenza. 

Ne La grande bellezza si osservano tutti i nostri limiti e i nostri peccati. Veniamo mostrati esattamente come ci vedono all’estero con le nostre ipocrisie, la nostra avarizia, i nostri difetti più evidenti, la mafiosità dei nostri atteggiamenti, il nostro culto ossessivo per la bellezza. Per questo spesso i film che piacciono aldilà dei nostri confini sono quelli che convincono meno gli italiani, perché ci dipingono come non vorremmo, ma il regista partenopeo ha il coraggio e la lucidità per aprire il nostro vaso di Pandora.

In Youth il tema del passare degli anni non è guardato con pietismo, ma con lucidità e disincanto. Ed è proprio da questi atteggiamenti nei confronti della vita e della vecchiaia che prende il la lo stimolo a vivere il tempo che ci resta con tutta la presenza di cui siamo capaci.

3) I suoi cast sono sempre più internazionali e d’appeal. 

Sean Penn, presidente di giuria nel 2012 al Festival di Cannes, dove il film fu presentato, continuava a osannarlo, dicendo: «È il nuovo Tarantino! È il nuovo Tarantino!», e non a torto. Non a caso poco dopo si fece scrivere su misura un film da protagonista, This Must Be the Place, che coinvolse anche un’altra grande artista statunitense come Frances McDormand. Per Youth è riuscito a coinvolgere due grandi “vecchi” del cinema mondiale come Michael Caine e Harvey Keitel, per non parlare di Rachel Weisz, Paul Dano e Jane Fonda. Un regista come Sorrentino costituisce un grande richiamo per attori americani dal gusto più europeo e raffinato.

4) L’uomo in più: la colonna sonora dei suoi film 

Per usare una metafora calcistica a lui cara, la musica nei suoi film è il dodicesimo uomo in campo. Il regista ha una cultura musicale profonda che pesca soprattutto dal patrimonio anglosassone le suggestioni più belle. Per lui la musica è quell’elemento che completa la scena, la arricchisce e la rende più solida. Basta un brano musicale come Ceiling Gazing (Mark Kozelek) per raccontare la lussuosa apatia in cui vive il personaggio intepretato da Caine in Youth, quasi potrebbe non parlare. In This Must Be the Place le musiche erano affidate nientepopodimeno che a David Byrne e infatti il titolo riprendeva una delle più celebri canzoni dei Talking Heads. Nel calderone da cui attinge c’è spazio per il jazz di Chet Baker in L’uomo in più come per la Raffa nazionale di “A far l’amore comincia tu” di La grande bellezza.

5) L’originalità dei personaggi

Dicevamo all’inizio di quanto il suo modo di fare cinema rievochi spesso Fellini. E proprio come il grande maestro Sorrentino non si risparmia nel mettere in scena una carrellata di personaggi  a dir poco peculiari. Se ne La grande bellezza sfoga tutto il suo estro con una carrellata di personaggi assolutamente sui generis, dalla Santa all’artista che prende a testate i muri, va detto che non c’è mai un personaggio banale nei suoi film. Ed è proprio questa caratterizzazione multiforme dell’umanità a rendere il suo uno dei cinema più seduttivi a livello visivo.

Su Infinity potete trovare This Must Be The Place, Il divo, La grande bellezza e Youth

 

 

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