«Vietiamolo ai minori» grida con forza il Codacons, dopo che Paranormal Activity, il film horror che ha fatto tremare persino Steven Spielberg, ha letteralmente seminato il panico tra gli spettatori, per lo più minorenni. Incubi, malori, svenimenti finiti direttamente in ospedale (come nel caso di una ragazzina ricoverata a Napoli in evidente stato catatonico). Ma anche soldi, incassi record, e polemiche che, ovviamente, funzionano come la migliore strategia di marketing possibile. E i numeri parlano da soli. Al primo weekend di programmazione, l’esordio horror del regista israeliano Oren Peli – completamente costruito sul meccanismo più spaventoso, quello della paura che non si vede, non si manifesta in mostri o creature spaventosamente orrende, ma gioca sulla crescente consapevolezza della loro inequivocabile presenza – scala la classifica, piazzandosi al secondo posto subito dopo Avatar: «La gente – osserva il regista, Oren Peli – ama l’horror perché è un genere che offre la possibilità di vivere un’esperienza forte come quella del terrore in una situazione controllata, senza mettere in pericolo la propria incolumità».
Evidentemente, però, Paranormal Activity spaventa più del dovuto. E le reazioni scioccanti che sono seguite alla visione del film smentiscono in parte le affermazioni del regista. Evidentemente il suo horror ha di gran lunga varcato le soglie dell’incolumità, annullando la distanza che c’è (e/o ci dovrebbe essere) tra schermo e realtà.
E adesso sono in molti ad alzare la voce contro la pellicola. Oltre al Codacons (il cui presidente Carlo Rienzi ha tra l’altro previsto la possibilità che i minorenni vittime degli “effetti collaterali” del film potrebbero chiedere il risarcimento dei danni al tribunale), che ha annunciato azioni legali per ottenere il divieto ai minori di 18 anni, ottenendo il pieno sostegno del presidente dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori Antonio Marziale, anche Alessandra Mussolini, alla guida della commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza, tuona contro un film «ad alto contenuto ansiogeno e non vietato ai minori che sta provocando numerosi casi di attacchi di panico e di problemi psicologici tra i giovani». Secondo il ministro della Difesa Ignazio La Russa bisognerebbe vietare il passaggio del trailer del film in tv, almeno nelle fasce non protette e che comprendono un pubblico di minorenni. «Ho visto mio figlio che aveva paura di quello spot» ha confessato La Russa. «La tv dice tante parole, si fa un gran parlare di fasce protette, di programmi e poi infilano in una fascia oraria “frequentata” da bambini 10 trailer di quel film, che poi credo facciano più paura del film stesso».
Prevenire gli effetti dell’horror, dunque. Impresa – se non impossibile – molto ardua, data la voglia di terrore che dilaga (sia sul piccolo che sul grande schermo), soprattutto tra i giovanissimi. Che nei prossimi mesi dovrebbero immediatamente fare i conti con l’uomo lupo di Benicio Del Toro in Wolfman (in uscita il 19 febbraio) e poi con la discesa agli inferi di Leonardo DiCaprio, protagonista di Shutter Island, l’ultima opera di Martin Scorsese in programma alla prossima Berlinale e dal 5 marzo sui nostri schermi. E ancora, dopo l’isola della paura della premiata ditta Scorsese-DiCaprio arriveranno, uno dietro l’altro, i ragazzini americani turbati dalle apparizioni di Freddy Krueger in Nightmare (7 maggio), i morti viventi di Benvenuti a Zombieland (11 giugno) e i pesci capaci di seminare terrore e morte persino nelle acque tranquille di un lago in Piranha 3D (11 giugno), solo per fare alcuni esempi.
Benicio del Toro che di Wolfman è produttore oltre che interprete, ha una sua teoria sul fenomeno: «La mania del terrore non è una novità. C’è sempre stata e continuerà ad esserci, almeno fino a quando non saremo riusciti a scoprire che cosa accade dopo la morte. Davanti al più grande dei misteri cerchiamo tutti risposte. E le storie di fantasmi e di cadaveri che tornano in vita offrono una possibile versione dei fatti, per questo continuano ad attirarci».
E voi, siete d’accordo?
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