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Per il fumetto italiano è l’ora di un premio condiviso?

Al di sopra dei singoli festival e di una realtà frammentaria, potrebbe essere arrivato il momento di una riflessione critica comune, che aiuti a fare ordine e a promuovere davvero i nuovi talenti

Per il fumetto italiano è l’ora di un premio condiviso?

Al di sopra dei singoli festival e di una realtà frammentaria, potrebbe essere arrivato il momento di una riflessione critica comune, che aiuti a fare ordine e a promuovere davvero i nuovi talenti

l fumetto è cambiato: non è più una cosa per pochi, di nicchia; oggi riesce a spostare grandi numeri e ad arrivare tra le prime posizioni delle classifiche dei giornali. È cambiato anche il pubblico: l’età media è più bassa; i lettori comprano sia fumetti di carta che fumetti digitali; le librerie sono diventate fondamentali nella distribuzione, e le fumetterie hanno finalmente ottenuto il giusto riconoscimento per il loro lavoro. Alcuni autori italiani vanno meglio, altri vanno peggio. È una cosa normale: funziona così anche tra gli scrittori di narrativa e di saggi. Il fumetto, però, ha una storia diversa e ancora oggi combatte contro pregiudizi e luoghi comuni.
I premi sono arrivati solo a un certo punto, e solo in pochissimi casi sono stati in grado di ritagliarsi un ruolo specifico all’interno del mercato. Il dubbio è sempre lo stesso: servono? E se sì, a che cosa? In Italia i premi non riconoscono sempre il talento o la qualità, a volte si concentrano su altri aspetti e caratteristiche. E quindi ci sono premi che non fanno altro che certificare il successo commerciale di un fumetto: ha venduto tanto, e noi siamo qui per sottolinearlo. Ma ci sono pure premi che provano ad andare oltre, e che cercano di ricostruire fenomeni e talenti, fotografandoli nel loro momento migliore, quando hanno dimostrato le proprie capacità e la propria visione.
Spesso, soprattutto se parliamo del mercato italiano, i premi non sono un incentivo per il pubblico; e non basta vincere in un particolare festival per avere visibilità. In questo tipo di ragionamento ci sono un’infinità di sfumature e di dettagli, e non è facile riuscire a fare ordine.
La cosa più interessante è un’altra: è l’approccio che molte giurie, e molte realtà, hanno nei confronti di autori e fumetti, e il modo in cui, occasionalmente, decidono di ignorarli per ribadire la propria idea. Non c’è una qualità – diciamo così – “oggettiva”, una base unica da cui partire; c’è una qualità utile per lanciare un messaggio, e per dimostrare di saperne più degli altri. E così, ogni anno, tantissimi titoli meritevoli, firmati soprattutto dagli autori più giovani, restano in secondo piano. Vengono preferite soluzioni più semplici, sostenute o già adottate dai lettori.
L’obiettivo non è premiare il talento, ma esprimere un concetto. È politica, ma è una politica autoreferenziale. Fare sintesi – unire, cioè, due momenti diversi, uno iniziale e uno conclusivo – diventa quasi impossibile. E il fumetto, inteso come mercato e come sistema, finisce per fossilizzarsi sempre sulle stesse posizioni. Non c’è crescita: non dal punto di vista critico. Quello che serve, forse, è un premio unico: un premio al di sopra dei festival e delle singole realtà, assegnato da una giuria mista, pronta a guardare al futuro e a riconoscere il passato. Anche questo fa parte dell’evoluzione delle cose, e anche questo può essere un aiuto.
Il fumetto deve uscire dal suo orticello e conquistare una dignità diversa. Non maggiore, attenzione: ma condivisa.

© Courtesy of Games Academy Funside (1)

 

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