Al netto di qualunque giudizio critico rispetto all’attesissima quarta stagione, disponibile in streaming per tutti gli abbonati Prime Video dalla primavera-estate 2024, The Boys resta senza dubbio tra gli show più sfrontati, avanguardistici e dirompenti del secondo decennio del Duemila. Per molti, il più sfrontato in assoluto. E se già la terza stagione aveva portato lo show oltre ogni limite conosciuto in termini di Black Humour e sequenze di natura smaccatamente horror splatter, tanto più disturbanti e sconvolgenti quanto più esplicite in termini sessuali, avevamo già provato ad analizzare come The Boys sia una serie rivoluzionaria ai più vari e differenti livelli. Compresa una sua possibile interpretazione, naturalmente in senso allegorico, come trattato sul narcisismo patologico. Uno dei mali più radicati, diffusi e tentacolari del nostro tempo, tanto più sfuggente quanto più il termini narcisismo diventa abusato e in molti casi banalizzato nel linguaggio comune. Ma oggi vogliamo affrontare un quesito del tutto diverso, posto da moltissimi fan come dalla vasta schiera degli hater e i detrattori della serie creata da Eric Kripke. Ed è stato proprio lui a fornire una risposta chiara, possibilmente definitiva a questa domanda ricorrente: perché The Boys episodio dopo episodio, stagione dopo stagione diventa sempre più politico?
La risposta arriva nientemeno che dalle pagine online della rivista Forbes, una tra le voci più autorevoli e influenti degli Stati Uniti d’America (e l’intero mondo occidentale). Ed ecco come Eric Kripke sceglie di rispondere alla domanda da un milione di dollari: «La quarta stagione deve essere interpretata come la fine della seconda parte del film. […] Abbiamo cominciato con un certo numero di personaggi e stagione dopo stagione abbiamo deciso di sfidare noi stessi ancora e ancora, e così rivelare sempre nuove sfumature e nuovi fatti rispetto a chi sono davvero queste differenti figure. Abbiamo scelto non che questi personaggi diventassero più “grandi”, ma che volevamo andare sempre più in profondità, sempre più a fondo. […] A torto o a ragione, a questo punto The Boys è una serie politica. Credo non solo che la quarta stagione sia politica, ma che il mondo abbia finito per somigliare sempre più alla serie, in un modo che non è affatto bello. E così, noi come autori dello show non abbiamo fatto che appoggiarci, assecondare questo fatto così evidente. Voglio dire, il tema di The Boys è perché, come e quando dovremmo interrogare i nostri leader politici. Tutti quanti dovremmo sempre mettere in discussione chi ci troviamo davanti».
E a questo punto l’intervista di Forbes al creatore di The Boys diventa ancora più esplicita: quanto c’è di Homelander (o Patriota che dir si voglia) in Donald Trump, contro molte aspettative neo Presidente eletto degli Stati Uniti? E quanto Trump c’è viceversa nel supereroe interpretato così magistralmente da Anthony Starr? La domanda risulterebbe spinosa quasi per chiunque, ma non per il creatore e showrunner di questa serie: «Entrambi hanno bisogno di molto ossigeno per respirare. Perciò se mai qualcuno dovesse decidere di metterli nella stessa stanza, credo che tra i due, non potrebbe che sopravvivere soltanto uno». Forse una citazione inconscia, più o meno involontaria di una tra le più celebri battute della Storia del Cinema, quella che appartiene al cult movie Highlander – L’ultimo Immortale: «Ne resterà soltanto uno».
E dato che il clima politico si fa sempre più incandescente, prima ancora che Donald Trump si si ufficialmente reinsediato alla Casa Bianca per il suo secondo mandato – nel quale sappiamo per altro che Elon Musk giocherà un ruolo a dir poco determinante – anche sul versante dell’Arte, la Serialità il Cinema e l’Audiovisivo in genere, dalla quinta stagione di The Boys possiamo comunque aspettarci svolte inaspettate, sorprese esplosive e colpi di scena sempre più scandalosi.
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