Sorprendentemente, per quanto intriso di eroismo retorico, l’ultima opera di Gary Ross si rivela essere un inno funebre lugubre e dark. Lo vediamo fin dall’incipit, che lascia in terra numerosi cadaveri inquadrati con macabra pacatezza dalla cinepresa, corpi macellati e cervelli sfracellati stesi su un campo di battaglia che odora di cimitero. Un presagio crepuscolare che non abbandona mai la narrazione, infiltrandosi in ogni conseguenza e fatalità, come destino prescritto di un Paese condannato dall’odio e dall’incomprensione.
Il piglio parrebbe inizialmente quello classico a cui ci ha precedentemente abituati l’autore di Seabiscuit e Hunger Games, ma a un certo punto, il nostro rinuncia alla linearità temporale spezzando il racconto in numerose tranche in bilico tra passato e futuro, trasformando la storia di Newt Knight in una parabola che finisce per diventare – coscientemente o meno – l’autopsia di un’intera nazione. È il Sud a fare ancora una maledetta paura, il medesimo Sud che alle ultime elezioni americane, si è rivelato l’assoluta fortezza di Donald Trump. E il piccolo miracolo del film è proprio questo: quando entra in scena il famigerato Ku Klux Klan, il pensiero non è andato verso la storia del cinema (da Griffith ad Alan Parker, passando per il Django di Tarantino), quanto al presente e alle recenti dichiarazioni d’appoggio dell’organizzazione nei confronti del neopresidente. Nulla è cambiato dal 1860: la malattia che colpiva gli States allora è la stessa che continua a ferirla oggi, e mai un film sulla Guerra di Secessione ha saputo riflettere così profeticamente l’attualità.
Non sempre Ross dimostra di avere il controllo sul suo materiale: talvolta perde il fuoco tra un salto temporale e l’altro, intaccando un ritmo forse già fin troppo dilatato di suo (2 ore e 19 minuti la durata complessiva dell’opera). Il disegno che si forma a fine visione, però, è di quelle che ti entrano dentro lasciandoti un sentimento di soffocato dolore: lo stesso che prova Matthew McConaughey mentre piange disperatamente sotto l’albero, paralizzato e sconfitto nonostante la sua eroica corazza. Perché per quanto Hollywood tenti da una vita di farcelo credere, la verità è che non si muore mai con onore: si muore e basta.
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