Piazza Fontana secondo Marco Tullio Giordana: «L'origine di tutti gli odi»
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Piazza Fontana secondo Marco Tullio Giordana: «L’origine di tutti gli odi»

Il regista ha risposto alle prime polemiche suscitate da Romanzo di una strage, raccontando le ragioni che stanno dietro al film e alle tesi che sposa

Piazza Fontana secondo Marco Tullio Giordana: «L’origine di tutti gli odi»

Il regista ha risposto alle prime polemiche suscitate da Romanzo di una strage, raccontando le ragioni che stanno dietro al film e alle tesi che sposa

Uscirà venerdì 30 marzo in 250 copie Romanzo di una strage, il film di Marco Tullio Giordana (La meglio giventù) che ripercorre i tragici fatti avvenuti in Italia tra il dicembre 1969 e il maggio 1972, ovvero tra la strage di Piazza Fontana a Milano, presso la Banca Nazionale dell’Agricoltura, e l’omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi (Valerio Mastandrea), coinvolto nell’inchiesta sulla morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli (Piefrancesco Favino), precipitato da una finestra della questura di Milano durante un interrogatorio.

Della struttura e delle ragioni del film vi abbiamo già parlato nella nostra recensione. Oggi vi raccontiamo invece quanto emerso durante l’attesa conferenza stampa milanese, in cui si è parlato dei punti critici del film, emersi dopo le prime proiezioni per la stampa.
Per esempio il modo in cui si evita il rischio di affondi troppo  polemici, preferendo un approccio più cauto e, a tratti, didascalico: «Ma noi non volevamo gettare altra benzina sul fuoco dell’odio politico e sociale, solo cercare di capire e riportare quanto accaduto» spiega Giordana. «Il film è rivolto soprattutto ai ragazzi: quelli che hanno la mia età (Giordana è del 1950, NdR) devono fare lo sforzo di dimenticarsi dei propri coetanei e pensare alle nuove generazioni. C’è un tempo in cui è necessario essere precisi: non ambigui, né popolari. E bisogna avere il coraggio di evitare i luoghi comuni».

Uno dei punti più controversi del film riguarda la rappresentazione del rapporto tra Calabresi e Pinelli, nei mesi precedenti l’attentato. Nonostante Calabresi indagasse sulle attività sovversive degli anarchici, i due vengono presentati alla stregua di rivali tra cui intercorre però un rispetto che sfiora l’empatia. E che culmina nella scena in cui il commissario e il ferroviere, dentro una libreria Feltrinelli, si scambiano dei libri. «Stima, riconoscimento dell’altro, forse perfino simpatia. Il film nasce soprattutto dalla scoperta di questo rapporto, che ci è stato confermato anche dalle mogli. Calabresi d’altra parte era un commissario atipico per l’epoca, molto più simile a quelli di oggi. In un epoca in cui la polizia era un vero e proprio corpo militare, in cui si ubbidiva senza discutere, lui era tra i pochi laureati». Qui però interviene Luciano Lanza, all’epoca nel gruppo di Pinelli, e oggi giornalista: «Se da un lato ho trovato straordinarie le interpretazioni di Favino e di Michela Cescon nei panni dei coniugi Pinelli, dall’altro devo dire che sono perplesso su come è stato rappresentato il rapporto tra Pino (così veniva chiamato Giuseppe Pinelli, NdR) e il commissario, che nel film è troppo idilliaco: lui diffidava del commissario e diceva spesso ‘Calabresi vuole farmi diventare un suo informatore, ma non ci riuscirà mai’».

L’altro dubbio avanzato da Lanza riguarda la tesi per l’attentato che il film sembra suggerire in chiusura, ovvero che le bombe nella Banca fossero due: una, dimostrativa ma quasi innocua, di origine incerta (forse proprio anarchica) e una seconda, letale, attribuibile alle azioni della destra internazionale, guidata dai servizi segreti militari americani. Giordana gli risponde così: «Non volevamo sposare nessuna tesi, ma illustrarle. Questa idea nasce dal fatto che la presenza di due bombe permetterebbe di far quadrare molti dettagli, e in particolare il ritrovamento sul luogo della strage sia di un timer che di una miccia, il che può essere ricondotto a due bombe o a un doppio innesco per la stessa bomba. Il fatto che il perito del primo processo avesse inizialmente parlato di questa miccia, e che però poi questa si fosse “persa”, sparita, mi fa propendere per la prima ipotesi».

Il regista si è poi soffermato sulla centralità storica di quella prima strage, come origine di tutti gli odi del terribile decennio successivo, la stagione del terrorismo. Una stagione di grandi ideali che si concretizzarono però in un livello di conflitto sociale quasi insostenibile, e soprattutto in un gran numero di vittime: «Quel che avvenne in Piazza Fontana ruppe il patto tra cittadini e Stato in un modo mai più avvenuto dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, al punto che molti si convinsero che una resistenza armata fosse lecita. Il terrorismo nasce lì, dall’idea di uno stato di cui non ci si può fidare. È come giocare con il proprio padre e scoprire che bara. Intere generazioni sono state colpite da questa perdita di fiducia. Chi è nato prima di quel fatto, negli anni ’50, come me, conserva invece di fondo una fiducia nelle istituzioni e nel futuro che è importante trasmettere».

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