Lettera aperta a Bruce Willis.
Ora ti aggiri sperduto alla ricerca di una rete Wi-fi in Italia e nel mondo, ma un tempo eri ben altro. Perdonaci Bruce, ma fa una certa tristezza vederti negli spot Vodafone, in cui ti sforzi di pronunciare due parole in italiano o vieni schernito da un gruppo di ragazzini, che con quel “Ciao, Bru!” in pratica ti danno del vecchio. Eppure, “Bru”, noi siamo convinti che in te batta ancora un cuore action. O forse è solo una speranza di chi è cresciuto con le imprese di John McClane. Te lo ricordi Bru? È il protagonista della Die Hard Saga, quella che ti ha lanciato nell’olimpo hollywoodiano. Prima di Trappola di cristallo, all’attivo avevi giusto una serie di successo, Moonlighting, e un film entrato presto nel dimenticatoio, Appuntamento al buio (1987). Poi, il regista John McTiernan, che già aveva diretto Schwarzenegger in Predator, ha visto in te l’uomo giusto per interpretare un poliziotto spaccone, coraggioso, implacabile con i cattivi e dalla battuta sempre pronta.
Per calarti nella parte non ti ci è voluto molto: di fascino arrogante ne hai sempre avuto, è bastato toglierti le scarpe, metterti in canottiera et voilà, ecco servita l’icona action per eccellenza. Per molti, Trappola di cristallo è IL film di Natale, più di Mamma ho perso l’aereo o Una poltrona per due: vederti far fuori uno a uno gli uomini di Hans Gruber, il terrorista del compianto Alan Rickman, è qualcosa di sublime. Imprechi, fumi, uccidi, sanguini: una vera forza della natura che agisce a un ritmo incessante.
Fare l’antieroe ti piace parecchio, e non puoi rifiutare quando ti chiedono di tornare, due anni dopo, a girare il sequel, 58 minuti per morire. Un film che conta 264 cadaveri, e indovina un po’ chi ha contribuito a portarne la maggior parte all’altro mondo… Ormai è chiaro come non ci sia situazione da cui McClane non possa uscire, ma va bene così, non abbiamo mai voluto altro. Anzi, volevamo sempre di più e così, dopo una parentesi da Ultimo Boyscout, sei di nuovo “cowboy” in Duri a morire, in cui fai coppia con Samuel L. Jackson e un po’ torni alle origini perché a dirigerti c’è ancora McTiernan e il villain è Simon Gruber (Jeremy Irons), il fratello dell’Hans di Trappola di cristallo. Un nemico invisibile, che ti spia e ti tiene testa, perfetto per un film che rinnova gli stereotipi del genere e trasforma come poche altre volte al cinema una città – New York – in un personaggio autentico.
Dopo Duri a morire ti prendi una pausa da McClane, ma non dal rischio: fai saltare un’asteroide nello spazio (Armageddon), segui da psichiatra un bambino che vede gente morta (Il sesto senso) e salvi Jessica Alba nella città del peccato. Ah sì, trovi anche il tempo di uccidere Bin Laden, ma questa è un’altra storia (Planet Terror). Il tuo John ti chiama e tu, ovviamente, rispondi: Die Hard – Vivere o morire è il quarto episodio della saga. Gli anni sono passati (12), i capelli se ne sono andati, ma tu non perdi colpi. Anzi, hai pure una figlia adolescente da tenere a bada, oltre ai cyber terroristi che hanno messo in ginocchio l’America. Ne prendi tante, ne restituisci ancora di più, lanci persino una macchina contro un elicottero e riesci a sfuggire a un caccia militare che ti spara razzi addosso. E poi, quanto sei divertente.
Per l’ultima fatica viaggi fino in Russia, a Mosca, per tirare fuori dai guai tuo figlio, anche lui poliziotto. È un buon giorno per morire – recita il titolo del film -, ma non per te. Qualsiasi cosa accada, tu ti rialzi sempre e ti scagli contro i sovietici peggio che nella Guerra fredda. Yippee ki-yay, Mother Russia.
John McClane è ancora in te Bruce, e sempre lo sarà. Ricordatelo, la prossima volta che ti dicono “Ciao, Bru”.
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