Prometheus: la recensione di Giorgio Viaro
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Prometheus: la recensione di Giorgio Viaro

Prometheus: la recensione di Giorgio Viaro

Prometeo, nella mitologia greca, è il titano ribelle che crea l’uomo forgiandolo dal fango,  animandolo con il fuoco, e donandogli intelligenza e memoria. A tal punto amico dei nostri antenati da finire inviso a Zeus, che lo condannerà al celebre supplizio: incatenato alle rocce del Caucaso e dilaniato ogni notte da un’aquila.

(AVVISO SPOILER: di seguito raccontiamo la trama della prima parte del film, chi non vuole sapere assolutamente nulla della storia, salti il paragrafo)
L’incipit di Prometheus tiene fede al mito classico, reinterpretandolo in chiave sci-fi: un alieno antropomorfo sacrifica se stesso per portare la vita sulla Terra. Molti millenni dopo una coppia di scienziati scopre le tracce del suo passaggio in una pittura rupestre, sul soffitto di una grotta delle highlands scozzesi. Nel disegno, una figura umana indica una lontanissima costellazione, invisibile a occhio nudo. Alcuni anni più tardi la nave spaziale Prometheus, finanziata dalle Weyland Industries, di proprietà di un multimilionario ultracentenario appena scomparso, è in viaggio verso l’unico pianeta di quella costellazione che permette l’esistenza di forme di vita. Obiettivo: il primo contatto con i nostri progenitori stellari.

Prometheus conferma tutto quello che già sapevamo del cinema di Ridley Scott, ovvero che il regista di Blade Runner rende il miglior servizio possibile alle sceneggiature su cui lavora, ma non è in grado di influenzare il processo creativo di un film a un livello tale da rimediare alle cattive premesse. È un autore a metà, quasi uno shooter, distante dallo strapotere intellettuale esercitato ad esempio da Nolan.
Lo script di Prometheus, in particolare, porta evidenti i segni dei suoi autori. Di Jon Spaihts (L’ora nera), cui era stato affidato inizialmente, ha il vizio di abbinare uno spunto originale a uno svolgimento che si limita all’aneddotica horror, in barba alla coerenza. Di Damon Lindelof (Lost), la tendenza a seminare Domande, di quelle con la D maiuscola, dimenticandosi (o disinteressandosi) a dare le risposte. Il che si può giustificare all’interno di un meccanismo seriale, molto meno in un film autoconclusivo.

La sensazione generale è quella di un grande spreco. Il film parte silenzioso, epico e pieno di ambizioni. I titoli di testa, che sorvolano i panorami vergini di una Terra preistorica, sono di una bellezza che mozza il fiato. Per quasi un terzo di film l’azione è centellinata, personaggi e luoghi presentati con il gusto del dettaglio e un certo talento nella loro scelta (un esempio per tutti: le oscillazioni della nave in volo sono raccontate con il costante scivolamento degli oggetti sui piani d’appoggio). Non è un caso che sia anche la parte in cui dialoghi e fatti sono più radi.
Quando però si entra nel vivo del racconto, si perde progressivamente presa sul senso della storia. Anche in questo caso un esempio è perfetto per rendere l’idea: all’ingresso nella sala aliena che contiene la gigantesca testa umana che campeggia anche nel poster nel film – e che chiunque conosce quindi da mesi – la reazione dei personaggi non è in alcun modo valorizzata, nonostante quella statua sia la prova che i nostri progenitori stellari erano antropomorfi. Come se lo spoiler per gli spettatori si fosse trasformato in uno spoiler per i personaggi, anestetizzandoli alla rivelazione.

Ancora peggio, quando i nodi dei rapporti tra personaggi vengono al pettine, i disvelamenti sono pigri, pretestuosi, restano tutti sulla carta (SPOILER: a chi interessa che Mrs.Vikers sia la figlia di Mr.Weyland? Che interesse ha nell’economia del racconto? FINE SPOILER).
La sensazione, in definitiva, è di trovarsi di fronte a uno spettacolo di altissimo livello, che una visione in una sala IMAX potrebbe addirittura rendere indimenticabile, e che però – come già accaduto con Spider-Man – si riduce in fretta a una raccolta di clip del terrore fantascientifico (almeno una, però, da antologia: SPOILERl’auto-operazione chirurgica del personaggio di Noomi RapaceFINE SPOILER).
Grandi premesse che si sciolgono in conclusioni incoerenti o lacunose. Personaggi trasformati in burattini impazziti. E la spiegazione della genesi del ben noto alieno, è proprio un pasticcio.

Mi piace
L’impianto visivo, e in particolare le scene in campo lunghissimo, restano in memoria. Nel cuore del film c’è una sequenza che non si dimentica e che aggiorna quella classica del primo Alien.

Non mi piace
Nella seconda parte, lo script diventa un pasticcio.

Consigliato a chi
A chi ama la fantascienza spaziale: nonostante tutto, uno sci-fi puro così spettacolare è una cosa rarissima

Voto: 3/5

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