Ci sono film che non si limitano a raccontare orrori e tragedie, ma li fanno vivere in modo tanto intenso e brutale da essere difficili da guardare più di una volta. È il caso di alcuni film di guerra restati nella storia del cinema, come Platoon e Il cimitero delle lucciole, ma oggi vogliamo parlarvi di quello che potrebbe essere considerato il più brutale war movie mai realizzato, al punto che molti non riescono neppure a rivederlo.
Il film in questione è Va’ e vedi (Come and see) di Ėlem Klimov, presentato al Festival di Cannes a metà degli anni ’80. La narrazione non lascia spazio a nessun tipo di consolazione: segue la storia di un ragazzo bielorusso, Florya, mentre assiste alla devastazione e alla crudeltà della Seconda guerra mondiale, in particolare durante l’occupazione nazista dell’Unione Sovietica. La brutalità non è solo fisica, ma anche psicologica, ed è proprio questa dimensione che lo rende così difficile da digerire e da rivedere.
Il film non mostra la guerra in modo tradizionale, tramite battaglie e azioni eroiche, ma si concentra sull’atrocità quotidiana e sulle sue conseguenze. La brutalità è tutta viscerale: la violenza non è mai spettacolarizzata, ma si manifesta in scene strazianti che sembrano non avere fine. Florya, che all’inizio del film è un ragazzo spensierato, perde gradualmente la sua innocenza, mentre assiste a omicidi di massa, torture, e distruzione di intere comunità. La sua trasformazione fisica e psicologica durante il film è una testimonianza di quanto il trauma possa segnare l’individuo e la sua visione del mondo, come mostrato anche nell’altrettanto indimenticabile Il pianista di Roman Polanski.
Un altro elemento che rende Va’ e vedi (il cui titolo è una citazione dal libro dell’Apocalisse) così brutale è l’uso unico della cinematografia. Le riprese di Klimov sono immerse in una luce inquietante che aumenta il senso di oppressione. I primi piani insistiti sui personaggi, il suono costante di spari, urla e bombe (di recente ne abbiamo capito l’importanza anche tramite il magnifico La zona d’interesse), tutto insomma contribuisce a creare un senso di angoscia che coinvolge lo spettatore in modo devastante. La scelta di non nascondere la sofferenza, ma di esporla nella sua forma più cruda, rende ogni scena una sequenza emotivamente difficile da sostenere.
Ma ciò che veramente distingue Va’ e vedi è la sensazione di impotenza che trasmette. Non ci sono eroi in questo film, solo vittime e carnefici. La brutalità della guerra non è sminuita o filtrata in nessun modo, non è romantica ma immediata, tangibile. In un mondo in cui la violenza nei film è spesso spettacolarizzata, Va’ e vedi si distingue come un’esperienza cinematografica che va oltre la semplice rappresentazione della guerra: è una visione così intensa che molti spettatori sentono il bisogno di distanziarsene, di non affrontarlo più di una volta. Perché alcune esperienze, come quella raccontata da Klimov, non sono fatte per essere ripetute, ma per essere vissute e poi lasciate.
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