Affrontare il tema della relazione tra Visitor Q di Takashi Miik – cult del 2001 che resta tra i più imprescindibili must see della cinematografia giapponese all’alba del nuovo millennio, realizzato interamente con nuove tecnologie digitali nell’ambito del progetto televisivo Love Cinema – e uno dei film scritti e diretti dal Poeta italiano Pier Paolo Pasolini – dodici lungometraggi, quattro cortometraggi o mediometraggi realizzati nell’ambito di altrettanti film collettivi, anche detti “a episodi” e otto film documentari, senza contare naturalmente i saggi teorico-critici, i testi teatrali, i soggetti le sceneggiature e le opere incompiute – si presenta come un’avventura non solo estrema, ma a suo modo impossibile. O meglio, tanto affascinante e contorta da poter essere intrapresa dai più svariati punti di vista.
Presumendo ad esempio che la relazione, il fil rouge che leghi esplicitamente l’horror sperimentale di Takashi Miike e uno dei capolavori pasoliniani sia la violenza, sarebbe quasi istintivo pensare che il filmmaker nipponico si sia ispirato all’ultimo lavoro di Pasolini come regista: Salò o le 120 giornate di Sodoma. Eppure, il film che aveva inaugurato il progetto della Trilogia della Morte – interrotta dal compimento dell’assassinio premeditato dello stesso Pier Paolo Pasolini all’Idroscalo di Ostia il 2 novembre 1975 – non è il punto di riferimento di Miike per Visitor Q. Perché questo cult horror giapponese, riservato forse solo ai più intrepidi appassionati del genere, nella molteplicità e la complessità dei suoi riferimenti artistici, cinematografici e filosofici trova un punto cardine in un’opera precisa, che sarà a sua volta oggetto di un radicale rovesciamento di prospettiva: Teorema, scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini, e presentato alla Mostra del Cinema di Venezia il 5 settembre 1968. Non prima che Pasolini, per altro contrario a partecipare alla Mostra per motivi politici, affrontasse l’ennesimo processo e l’ennesimo scandalo, venisse quindi formalmente prosciolto dalle accuse e potesse vedere la pellicola non solo dissequestrata e distribuita, ma “riconosciuta indiscutibilmente” negli atti del procedimento “come opera d’arte”.
Se torniamo però al Sol Levante, a breve si presenterà il problema che anche il semplice evocare trama e intreccio di Visitor Q di Takashi Miike, anche proponendo una sinossi ridotta ai minimi termini significa automaticamente travalicare il confine dell’orrore, e in termini kubrikiani dell’ultra-violenza, per un’idea di horror tanto provocatorio e deflagrante che la sola esposizione dei fatti minimi – soprattutto nei termini della iper-reattività e della sensibilità occidentale contemporanea – significherebbe turbare profondamente qualcuno. E possibilmente far arrabbiare la vasta schiera dei più antichi detrattori del genere, in particolare quanti vedano anche nell’accezione più Pop e mainstream della scena contemporanea uno sterile esercizio di brutalità, disturbo e violenza gratuita. E a questo punto, chi ha già visto o desidera rivedere Visitor Q sa già più o meno esattamente a cosa va incontro. Perché il fulcro della questione è anche l’opportunità di vedere o rivedere il film di Pasolini del 1968, trattato di violenza borghese e violenza domestica dove la brutalità è un magma ben nascosto sotto le più costose e curate apparenze, per essere rivelata solo dall’improvviso arrivo di un misterioso ospite, tanto anomalo in quel contesto da funzionare come un vero e proprio detonatore: l’elemento che scatena le parole non dette, la verità nascosta sotto la superficie.
In passato su Best Movie era stata già indagata la relazione tra Teorema di Pier Paolo Pasolini e il controverso successo esplosivo della sceneggiatrice e regista britannica Emerald Fennel: Saltburn. Ma se il nostro punto di riferimento è invece Visitor Q, il cult di Takashi Miike può sempre essere descritto secondo l’ossimoro di un classico post-moderno. Alla radice della storia c’è infatti l’intuizione pasoliniana, l’arrivo di un ospite e un soggetto del tutto esterno a una fitta rete di dinamiche familiari. Ma nell’horror giapponese, non accade quello che vediamo in Teorema dopo l’arrivo d Terence Stamp nella villa e il piccolo mondo che appartiene e ruota attorno agli industriali milanesi interpretati da Silvana Mangano e Massimo Girotti. In Visitor Q, di contro, l’ospite inatteso si inserisce in quella rete di dinamiche familiari già permeato delle più indicibili forme di violenza, comprese quelle di natura sessuale, perfino oltre il confine e il tabù dell’attività incestuosa. Ma l’incursione dell’ospite, per quanto in prospettiva rovesciata, resta sempre concettualmente ferma, e rappresenta in realtà la stessa identica funzione narrativa: quella del detonatore, in grado di far sprofondare il caos a livelli ancora più grotteschi e profondi.
E voi cosa ne pensate? Conoscevate già la storia del legame tra questi due cult del 1968 e del 2001? Diteci la vostra, come sempre, nei commenti.
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