Tra i tanti film horror usciti a inizio anni 2000, uno in particolare ha scosso il pubblico e ridefinito le regole del genere, lasciando un’impronta indelebile. Con la sua atmosfera cupa e la rappresentazione angosciante di un mondo devastato da un virus letale, ha terrorizzato milioni di spettatori, catapultandoli in un incubo post-apocalittico. Tuttavia, c’è un nome illustre che non si è lasciato sopraffare dal terrore: Stephen King. Sebbene il film abbia continuato a conquistare critica e pubblico nel tempo – nel 2025 è atteso un ulteriore sequel – il re dell’horror ha dichiarato di non esserne rimasto impressionato.
Il film in questione è 28 giorni dopo, diretto da Danny Boyle nel 2002 e opera che segnato una svolta nel panorama dell’horror moderno. Ambientato in un mondo sconvolto dalla diffusione di un virus mutato della rabbia, il film segue il protagonista Jim, interpretato da Cillian Murphy, nel suo tentativo di sopravvivere in una Londra desolata e infestata da infetti violenti e rabbiosi. Con il suo stile realistico, accentuato dall’uso di telecamere digitali, Boyle ha creato un’esperienza visiva intensa e angosciante, che ha spinto il pubblico a riflettere sulle proprie paure più profonde.
Nonostante l’acclamazione generale, Stephen King, in un’intervista del 2007 con Entertainment Weekly, ha confessato di non essere stato spaventato da 28 giorni dopo. Sebbene abbia apprezzato lo stile narrativo e l’estetica del film, King ha affermato che non lo ha trovato particolarmente inquietante. Dal suo punto di vista, un film si può effettivamente definire “dell’orrore” quando riesce a insinuare nello spettatore una paura persistente, di tormentarlo anche dopo la fine del film, elemento che non ha riscontrato nella pellicola.
Al suo posto, il celebre autore ha citato The Blair Witch Project come esempio di horror capace di spaventarlo veramente. Il film del 1999, con il suo approccio innovativo al found footage e la tensione psicologica crescente, è riuscito a terrorizzare lo scrittore al punto da costringerlo a spegnere il televisore. A differenza degli infetti di 28 Giorni dopo, che pur rappresentano una minaccia fisica, la paura evocata dalla strega mai vista e dall’atmosfera opprimente di The Blair Witch Project ha avuto un effetto più duraturo su King.
Questa distinzione sottolinea come per lo scrittore, e forse per molti altri appassionati di horror, il concetto più efficace di “paura” sia quello di un’emozione che si insinua profondamente nella mente, giocando con l’immaginazione e i nostri turbamenti, piuttosto che quella espressa attraverso la violenza visiva e il caos. In questo senso, 28 Giorni dopo, pur essendo considerato da molti un capolavoro del genere, non è riuscito a colpire il maestro dell’horror nello stesso modo.
Leggi anche: Stephen King, il Re dell’Horror torna al cinema con un romanzo che forse neppure avete letto
Fonte: Entertainment Weekly
© RIPRODUZIONE RISERVATA