Ragione e sentimento. La recensione di La teoria del tutto, il commovente biopic su Stephen Hawking
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Ragione e sentimento. La recensione di La teoria del tutto, il commovente biopic su Stephen Hawking

Arriverà nelle sale il 15 gennaio, ma noi vi proponiamo la recensione oggi, nel giorno in cui lo scienziato inglese festeggia i suoi 73 anni

Ragione e sentimento. La recensione di La teoria del tutto, il commovente biopic su Stephen Hawking

Arriverà nelle sale il 15 gennaio, ma noi vi proponiamo la recensione oggi, nel giorno in cui lo scienziato inglese festeggia i suoi 73 anni

Stephen Hawking, come protagonista di un biopic, ha un vantaggio notevole su Alan Turing: non è un genio misantropo, omosessuale e semi-autistico, ma uno scienziato brillante, con un senso dell’umorismo confortante e progressista, e una bella famiglia. Per questo La teoria del tutto è un film molto più facile da amare rispetto a The Imitation Game, dal quale lo separano appena due settimane di programmazione nelle sale: il suo protagonista ha tutto per risultare simpatico, rappresenta anzi lo stereotipo dello scienziato, cervello sopraffino in un corpo inessenziale, a suo agio in questa condizione.

Astrofisico inglese noto soprattutto per i suoi studi sui buchi neri e l’origine dell’universo, Hawking – che proprio oggi (8 gennaio) compie 73 anni – convive con una forma di atrofia muscolare progressiva dalla tarda adolescenza, quando ancora deve conseguire la laurea e iniziare il successivo periodo di dottorato a Cambridge. Cosa che non gli impedisce di diventare uno degli scienziati più importanti del ventesimo secolo, di mettere su famiglia (ha tre figli) e di diventare un paladino della divulgazione, strepitoso nella traduzione di teorie matematiche complesse in concetti evocativi e di facile acquisizione (a partire dal celebre Dal Big Bang ai buchi neri. Una breve storia del tempo, quasi 10 milioni di copie vendute nel mondo).

Oggi Hawking – con il suo corpo sghembo, i polsi stretti, il prognatismo e quella sedia a rotelle dotata di un sistema di sintetizzazione vocale che gli consente di continuare a comunicare, scrivere e tenere conferenze – è diventato il simbolo della “fisica amichevole”, origine di un’iconografia alla Albert Einstein, in cui però l’espressione di un buon umore, di uno spirito alto e solenne, di una curiosità fanciullesca e pervicace, non sono soltanto strumento di conoscenza ma arma esistenziale, antidoto alla depressione, moto di rivalsa.
La teoria del tutto racconta questa esperienza di vita con toni agiografici e romantici, partendo dall’autobiografia dell’ex moglie di Hawking e madre dei suoi bambini, Jane. I due si conobbero durante il periodo di dottorato, e decisero di sposarsi quando i medici promettevano a Stephen non più di due anni di vita e una fine tremenda, sulla base di una diagnosi parzialmente errata. Partendo da lì, ogni loro scelta è stata un atto di fede, una vittoria nei confronti di quella stessa scienza che per primi usavano come un grimaldello nei confronti del bigottismo (se l’universo/tempo non ha mai avuto origine – che è la seconda grande intuizione di Hawking, quella che confuta la prima – non c’è creazione, non c’è Dio), ovvero della fede stessa.

È questa la grande bellezza della loro storia, il trionfo della vita attraverso la messa in discussione di sé, la composizione dell’incompatibile: un ateo e una credente che tirano fuori una famiglia da una malattia degenerativa, che discutono l’esistenza di Dio attraverso la matematica e il canto gregoriano, che si amano, sostengono e soprattutto separano con naturalezza, secondo una logica che non è binaria né cattolica, e forse sta a metà strada. Il film la racconta con furbizia e talento, limitando antiestetismi e scene madri, con qualche parentesi divulgativa ovviamente superficiale, ma anche rifiutando la standing ovation continua (ce ne sono un paio, veloci). Si piange tanto, per tutti i motivi più ovvi, e sotto stretto controllo della regia (di James Marsh, quello dei bellissimi documentari Man on Wire e Project Nim). E d’altra parte poco commuove più di questo: l’uomo che si aggrappa alla matematica per dare una forma alle sue paure e un senso ai suoi desideri. L’uomo che nonostante tutto sopravvive.

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