Raoul Bova: Com'è difficile fare il papà!
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Raoul Bova: Com’è difficile fare il papà!

L’attore ci racconta il suo nuovo film, Buongiorno papà, ma anche la sua esperienza con i figli Alessandro Leon e Francesco

Raoul Bova: Com’è difficile fare il papà!

L’attore ci racconta il suo nuovo film, Buongiorno papà, ma anche la sua esperienza con i figli Alessandro Leon e Francesco

Nella vita è padre da 13 anni. Nella nuova commedia di Edoardo Leo, il suo Andrea, pubblicitario di successo con una vita sentimentale schizofrenica e nessuna voglia di assumersi delle responsabilità, scopre all’improvviso di avere una figlia adolescente, Layla (Rosabell Laurenti Sellers). La quale un giorno bussa alla sua porta insieme al nonno rockettaro (lo interpreta Marco Giallini) con l’intenzione di restare. E di sconvolgergli (o migliorargli) la vita. «Al di là della comicità che questa assurda convivenza cova in sé – e da questo punto di vista il film fa molto ridere –, Buongiorno papà racconta l’evoluzione di questa strana relazione padre-figlia» ci svela Raoul Bova. Con il quale abbiamo chiacchierato del film, del rapporto con i suoi ragazzi, Alessandro Leon (13 anni) e Francesco (11), dei pericoli e le speranze di questo mondo e dell’importanza di portare sullo schermo figure carismatiche e positive, che si facciano carico di insegnamenti importanti. Vedi anche il protagonista di Come un delfino, la serie tv da lui ideata, di cui a breve andrà in onda la seconda stagione.

Best Movie: Il 14 marzo esce nelle sale Buongiorno papà. Come sei stato coinvolto nel progetto?
Raoul Bova: «Il vero artefice del film è Edoardo Leo, che qui dirige e recita (nel ruolo di migliore amico e coinquilino di Andrea, ndr). È stato lui a riprendere in mano questo soggetto di Massimiliano Bruno che circolava già da tempo e a riscriverne la sceneggiatura, dotandola di un nuovo fascino. Ed è sempre lui che insieme a Federica Lucisano, la produttrice, ha insistito perché vi prendessi parte».

BM: Qual è il fascino nuovo di cui parli?
RB: «L’idea che i due protagonisti, Andrea e Layla, nascono come padre e come figlia nello stesso istante e nello stesso istante si scoprono, percorrendo due strade unite ma parallele e aiutandosi l’uno con l’altra. Anche perché lui non ha la più pallida idea di come si faccia il padre. E lo ammette: sbaglia ogni mossa, è maldestro nei sentimenti».

BM: Andrea viene descritto come un 40enne superficiale e irresponsabile. Un ritratto che rispecchia la realtà?
RB: «Be’, credo che rispecchi una parte della realtà. Oggi ci sono ancora parecchi adulti legati alla famiglia, nonostante l’età. Noi 40enni più o meno abbiamo vissuto gli stessi cambiamenti generazionali, quindi siamo cresciuti con un certo tipo di mentalità, che in alcuni ha creato la voglia di fare di più e in altri una certa disillusione. Questo non vuol dire che gli uni siano meglio degli altri. In fondo anche Andrea, nonostante il suo vivere irresponsabile, si scopre una bella persona: aspettava solo un piccolo angelo che lo prendesse per mano e lo guidasse verso la strada giusta».

BM: Andrea è anche un 40enne che tiene molto al suo aspetto fisico. Tu come vivi i tuoi “anta”?
RB: «Lui è un po’ vittima di quella che è la vita in cui vive: la pubblicità, l’apparire, le modelle, il vestirsi in un certo modo. Però, al di là dell’apparenza è una persona triste, insicura; perché chi basa la sua vita solo su questo e non ha un legame fisso, psicologicamente non si sente stabile. Io ho sempre pensato alle cose più profonde, perché fa parte del mio carattere. Ovviamente nel mio lavoro non puoi lasciarti andare, perché l’aspetto fisico ha una sua importanza. Però il mio curarmi è più legato alla salute, al fatto di continuare a stare bene fisicamente. Poi, ovvio, il capello bianco c’è, i primi segni in faccia anche. Però è giusto così, è giusto cambiare, darsi nuove prospettive lavorative. Se restassi il ragazzo 20enne di un tempo sarei condannato agli stessi ruoli».

BM: Cosa ti ha insegnato Buongiorno papà?
RB: «Come diceva qualcuno, a volte i film servono anche per risparmiare soldi dallo psicanalista. Lavorare a questa pellicola mi ha permesso di riflettere sulla mia esperienza personale. Il ruolo del padre non è per niente facile: ti rendi conto che è uno scambio costante e recirpoco. Quando si è genitori è importante dare ai propri figli una direzione, ma è anche bello vedere come reagiscono, non mettersi sempre davanti. Soprattutto ho capito che i figli non vogliono un papà infallibile, ma sincero, che non si vergogna di mostrare loro anche i propri difetti. Questa onestà di essere se stessi c’è molto nel personaggio di Andrea e io la condivido».

BM: So che hai lavorato al personaggio curando ogni minimo dettaglio. È il metodo che usi sempre?
RB: «Sì, di base lo faccio sempre, però ci sono registi che te lo lasciano fare di più, altri meno. Edoardo in questo è stato straordinario, perché mi ha lasciato la libertà di interpretare Andrea ma, conoscendo a memoria la sceneggiatura, mi ha anche chiesto di fidarmi di lui, della sua chiave di lettura. Inoltre, essendo anche attore, ha una sensibilità particolare nello sviscerare certe emozioni, andando oltre il testo».

BM: Da papà, come ti comporti con i tuoi figli rispetto ai programmi che propone la tv o i film che escono al cinema? Li lasci liberi o li accompagni in queste visioni?
RB: «Be’, oggi come oggi, per quanto riguarda il visivo – soprattutto Internet e la televisione – la libertà totale è pericolosa. Perché i ragazzi possono venire in contatto con siti o programmi molto negativi e diseducativi. Per fortuna i miei figli condividono tutto con me e ti confesso che certe cose che mi hanno fatto vedere mi hanno veramente scioccato».

BM: Un esempio?
RB: «Una volta in un cartoon parlavano di un video che c’era su YouTube (Two girls one cup); i ragazzi, incuriositi, sono andati a vederlo e poi me lo hanno sottoposto. Sono inorridito. Da allora cerco di vincolare molto la navigazione online così come di vietare certi cartoni animati dove si usano le parolacce, si deridono gli altri o si nominano alcuni siti molto pericolosi, come in quel caso. E lo stesso vale anche per la musica, perché adesso ci sono generi come il rock satanico o comunque canzoni che istigano alla violenza e trasmettono messaggi di cui non puoi mai prevedere l’effetto che provocano su un giovane».

BM: E per quanto riguarda il cinema?
RB: «Ancora non li lascio andare da soli. Spesso vado a vedere prima il film e poi decido se farglielo vedere».

BM: Le ultime pellicole viste insieme?
RB: «Lo storico concerto dei Queen Hungarian Rhapsody, perché è un gruppo che amo molto e anche loro conoscono diverse canzoni, soprattutto Alessandro. Poi Flight: ci tenevo a farglielo vedere, benché ci siano delle scene discutibili. È vero che si parla di alcol e droga – argomenti che tra l’altro avevo già avuto modo di affrontare con loro dai tempi di Sbirri e su cui mi sembrava bello e importante poterci confrontare ancora – ma il film lancia soprattutto un bel messaggio di responsabilità. Sono convinto che le pellicole siano uno strumento interessante per aprire un dialogo. Un altro film che vorrei far vedere loro è Lincoln. Non è esattamente un film per ragazzini, però il fatto che loro abbiano già studiato questa figura a scuola (frequentano la scuola americana, ndr) mi sembra un buon incentivo per proporglielo e incuriosirli».

BM: Ti chiedono di venire sul set?
RB: «Non tanto. Sono un po’ timidi. Io, del resto, non li forzo mai, li rispetto molto».

BM: Al cinema ti sei concesso diverse commedie mentre in tv hai sempre sposato progetti di forte impegno civile. È stata una scelta precisa?
RB: «Ho avuto la sindrome dell’eroe (ride). Diciamo che ho voluto portare alla luce l’impegno di grandi uomini che erano sempre rimasti nell’ombra. Esempi importanti, che tra l’altro alimentano la speranza che ci siano ancora dei punti di riferimento solidi, che l’onestà sia ancora un valore, che esista il buono, l’incorruttibile. Cercare persone che incarnano tutto questo e portarle sullo schermo per me è un sospiro di sollievo e forse anche per chi li guarda. Anche perché quello che la stampa, la televisione ci fanno vedere ogni giorno va nella direzione opposta. Se non diamo voce e valore a queste persone, in che cosa devono credere e sperare le nuove generazioni? Quando io ero piccolo quasi ogni giorno nei telegiornali si parlava di Giovanni Paolo e Madre Teresa di Calcutta…».

BM: In fondo anche Alessandro, il protagonista di Come un delfino, è un piccolo grande uomo, un esempio importante per i suoi ragazzi.
RB: «Assolutamente, incarna proprio questo messaggio di speranza: la convinzione che ci si può riscattare dagli errori, perché una seconda possibilità c’è sempre. Però bisogna anche fare in modo che i ragazzi ci credano e soprattutto bisogna indirizzarli verso una retta via, che in questo caso è lo sport. Nella seconda serie tra l’altro si parla anche di integrazione, di razzismo, del giudizio sociale, dell’importanza di superare il pregiudizio per favorire l’incontro e l’espressione dell’identità di ognuno».

BM: Alessandro è un allenatore di nuoto: non sarà che hai creato questa miniserie per costringerti ad allenarti e alimentare la tua passione per lo sport?
RB: «Lo ammetto (ride). Del resto, una delle cose più pericolose è la pigrizia. Per cui bisogna imparare a darsi degli stimoli».

(Foto: Kikapress)

Di seguito, una foto di scena di Buongiorno papà (proprio nel momento in cui Layla bussa alla porta di Andrea, cogliendolo di sorpresa) e uno scatto di Come un delfino

Foto di Rossellini

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