C’è stato da divertirsi stamattina alla proiezione delle 8.30 per la stampa di Solo Dio Perdona. Il film ha sollevato alcune risatine durante la proiezione e raccolto applausi e fischi in egual numero alla fine. Vi riportiamo anche le opinioni dei nostri due giornalisti sulla Croisette, protagonisti di un pro e contro sul film.
PRO – La recensione di Giorgio Viaro
Cominciamo da qui: Only God Forgives, fatta eccezione per il suo protagonista, non ha nulla a che vedere con Drive. A parte due sequenze, non è nemmeno molto violento. Chi però conosce Refn sa che Drive è stata un’eccezione, non la regola, un lavoro su commissione che per molto tempo non aveva deciso se accettare. L’aveva girato su pressione di Gosling dopo aver trovato una chiave che gli interessava: fare un film sulla musica e il cinema pop. Per questo Drive è grande pop d’autore, perché è un film sul pop, fatto da uno degli autori più bravi in circolazione.
Only God Forgives ha un budget dieci volte inferiore a Drive, ed è stato fatto da Refn in totale libertà creativa nell’ambito di un contratto sottoscritto con la francese Gaumont, per cui già aveva girato Valhalla Rising. Come a dire che si tratta di un lavoro molto più personale, sentito, e coerente al percorso artistico del regista. Che cos’è? È un film sul complesso edipico e sulle conseguenze della compressione della rabbia. La rabbia di Julian, il personaggio di Gosling, non ha sfogo: è succube di sua madre, e cova una ferocia che si infrange – senza possibilità di soluzione – sulla figura simbolica di un Angelo della Morte, un “amministratore” della giustizia che opera secondo codici biblici, da Vecchio Testamento. Resta, al suo cospetto, paralizzato; alla fine letteralmente monco: la storia del film è la storia di una dissoluzione, di uno spegnimento.
La recitazione è antinaturalistica, ogni cosa è stilizzata fino al parossismo: Julian si muove (e vede) come un sonnambulo, per associazioni emotive; la sua Nemesi cammina con lentezza irritante, una marzialità che sfinisce.
Un contesto integralmente simbolico, affine alla mistica jodorowskyana, cui il film è dedicato. Sostenuto da una messa in scena meravigliosa, dalla solita incredibile direzione delle luci, non piacerà a molti, ma piacerà moltissimo a chi ama davvero il cinema di Refn.
CONTRO – La recensione di Marita Toniolo
Edipo, iperviolenza, vendetta e misticismo in salsa thai. Dopo il grande successo a Cannes 2011 di Drive, accompagnato da un’attesa febbrile, il danese di culto Nicolas Winding Refn torna al Festival per presentare ancora in concorso il suo nuovo film, protagonista sempre il feticcio Ryan Gosling.
In Solo Dio perdona Gosling è Julian, rifugiatosi a Bangkok per aver ucciso il padre (almeno così spiega la madre Crystal, un’irriconoscibile Kristin Scott Thomas) e reinventatosi gestore di un thai-boxe cub che nasconde in realtà un’attività di spaccio. Julian ha cercato di azzerare il passato, ma la violenza insita in lui deflagra a tratti. Come dargli torto? Alle fondamenta c’è un Edipo immenso procuratogli da una madre padrona e spietata, anche verbalmente, che lo raggiunge quando l’altro fratello (Tom Burke), preferito e superdotato (sempre a dire della Medea), muore perché colpevole di aver violentato e ucciso una minorenne.
L’assassino del fratello è il padre della ragazza morta, ma il “coordinatore” è “l’angelo della vendetta” (Vithaya Pansringarm), sorta di samurai postmoderno dalla katana corta “chirurgica” e implacabile esperto di thai boxe, con nel tempo libero una smodata passione per il karaoke, che regolerà in modo disciplinato tutti i conti in sospeso tra le parti.
Ovviamente, è un film refniano fino al midollo: un bagno di sangue, iperviolento e coreografato anche nelle peggiori scene di tortura, in cui a mancare – non per distrazione, ma programmaticamente – è proprio la storia, travolta dallo stile sempre più ieratico, ineffabile e sospeso del danese. Talmente leale alla propria poetica nichilista da infischiarsene del successo di Drive e inseguire la fedeltà alla propria implacabile visione artistica, che – come ci ha già ben mostrato precedentemente – nell’immagine più che nella parola trova la sua essenza più profonda, lasciando pieno spazio agli archetipi: la Madre, sopra tutti, radice primaria del dolore e del conflitto.
Refn sembra così concentrato a dimostrare di volersene infischiare del successo di Drive e di voler perseguire solo la fedeltà al suo nichilismo da perdere per strada le regole principali, specie nel delineare un protagonista che più che l’antieroe diventa il fantasma del film. Se in Drive l’elemento romantico con la Mulligan soffiava un anelito di vita e di epicità, qui Gosling diventa quasi inerte, facendosi rubare la scena dal giustiziere.
Coerente fino all’esasperazione, Refn si perde via, inseguendo un estetismo esasperato e calligrafico che soffoca l’emozione.
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