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Refuge e le tante vie del cortometraggio

L’esperienza del film di Federico Spiazzi, che può essere visto sul sito del the New Yorker, è uno spunto per riflettere su come il formato “breve” sia spesso il frutto di un importante lavoro di squadra

Refuge e le tante vie del cortometraggio

L’esperienza del film di Federico Spiazzi, che può essere visto sul sito del the New Yorker, è uno spunto per riflettere su come il formato “breve” sia spesso il frutto di un importante lavoro di squadra

l mondo dei corti è un mondo interessante, variegato, multiforme.

Il formato “breve” può essere un grande vantaggio per i registi, quasi sempre esordienti, che decidono di sperimentare se stessi e il loro mondo creativo e produttivo. Dietro a una prima storia da raccontare c’è sempre qualcosa che l’autore si porta dentro, che ha vissuto o che, semplicemente, ha osservato, e che nei giorni, nei mesi, ha continuato a essere presente nei suoi pensieri. Così il regista sente il bisogno di raccontarla, di trasformarla in un film, di mettersi in gioco, soprattutto se è la prima volta. Anche se quella dell’auto- produzione e auto-distribuzione è una via che ancora tanti autori percorrono, quando c’è una squadra dentro la “macchina-film”, tutto cambia. Cambia per tanti motivi. E non cambia banalmente perché sono coinvolte varie persone.

A volte i cortometraggi, anche i piccoli capolavori, possono essere realizzati davvero da pochissime persone. Però il film “diventa film” perché i ruoli di chi fa il cinema, di chi realizza quel cortometraggio, sono diversi e riflettono il caleidoscopio narrativo. C’è lo sceneggiatore che porta l’idea (che quasi sempre coincide con il regista), c’è il regista stesso, c’è la squadra tecnica che ha un grande referente nel montatore – il “secondo scrittore” del film –, e c’è il produttore, o i produttori, che spesso sono anche i distributori. Tutto, spesso, nasce da un incontro, da una conoscenza, da uno scambio che diventa il cuore di tutto, l’anima necessaria per la riuscita del lavoro.

Ecco, si producono tanti cortometraggi in Italia e nel mondo: oggi vogliamo parlare di un piccolo film, Refuge, diretto da un italiano, Federico Spiazzi, e prodotto da una italiana, Federica Belletti, che può essere visto sul sito del The New Yorker.  Regista e produttrice si sono conosciuti alla Columbia University. Terminati gli anni della loro formazione cinematografica, hanno deciso di realizzare nel 2016 un cortometraggio sul mondo dei rifugiati, sulla babele contemporanea che può portare all’apertura, ma anche alla chiusura e all’incomprensione.

Girato ad Atene nel 2017 in tre giorni, Refuge è una storia semplice dove la lingua è foriera di incomprensione ma anche di novità: come nella vita, molti dei componenti del cast sono attori non professionisti provenienti dal Medio Oriente, dall’Afghanistan, dal Pakistan e dalla Turchia, ma la forza del film è proprio questa. Accanto a pochissimi attori protagonisti ci sono i veri rifugiati, ossia numerose famiglie provenienti dalla Siria e dall’Iraq.

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