Roberto Recchioni racconta Dunkirk: l’omelia di Christopher Nolan
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Roberto Recchioni racconta Dunkirk: l’omelia di Christopher Nolan

L'intreccio narrativo al centro di Dunkirk e il modo in cui il regista manipola la percezione spazio-temporale coordinando tre scenari differenti rappresentano un vero e proprio capolavoro

Roberto Recchioni racconta Dunkirk: l’omelia di Christopher Nolan

L'intreccio narrativo al centro di Dunkirk e il modo in cui il regista manipola la percezione spazio-temporale coordinando tre scenari differenti rappresentano un vero e proprio capolavoro

Sulla spiaggia di Dunkirk, il film di guerra di Nolan

Non serve una particolare attenzione per capire che il cinema di Christopher Nolan ruota tutto attorno al tempo. In pellicole come Following, Memento, Batman Begins e The Prestige, il tempo viene smontato e rimontato attraverso una struttura narrativa non lineare, e il processo di ricostruzione diventa parte integrante non solo del linguaggio e della grammatica di queste pellicole ma anche parte rilevante del senso stesso della storia raccontata.

In Insomnia, la percezione del tempo viene alterata, per portare lo spettatore nello stato d’animo allucinatorio del protagonista della vicenda, e un processo simile (ma dominato e imbrigliato da rigide regole matematiche) viene portato in scena anche in Inception, dove i meccanismi della dilatazione e contrazione percettiva dettano il tempo diegetico ed extradiegetico della pellicola.

insomnia christopher nolan roberto recchioni

In Interstellar le cose si complicano ulteriormente e il tempo si moltiplica, venendo relativizzato e sovvertito per farlo diventare il cardine di tutta la struttura narrativa, una forza elementare che si muove in ogni direzione e in cui Nolan e i suoi personaggi navigano, talvolta seguendo la corrente, talvolta provando ad opporsi ad essa.

Ma, fino alla prossima uscita di Tenet, è con Dunkirk che tutto il discorso del regista trova il suo apice e la sua armonica fusione. Il film si divide in tre rigidi spazi scenici: il molo, dove i soldati inglesi attendono l’arrivo di qualcuno che li salvi. Il mare, dove le imbarcazioni inglesi corrono in soccorso. Il cielo, dove i piloti degli aerei combattono. Questi tre spazi ci vengono raccontati a partire da un tempo diverso: sul molo la vicenda prende avvio il giorno prima che inizino le vicende del mare che, a loro volta, cominciano con ore d’anticipo sulla storia del cielo.

E nonostante il film ci racconti quello che succede nei tre spazi attraverso un montaggio parallelo, la narrazione non è sincronizzata e il tempo narrativo, a seconda dello scenario, è contratto o dilatato. Se il racconto del molo si dipana in giorni, quello del mare procede per ore e quello del cielo, per minuti. Le tre storie, i tre momenti, sono dei vettori destinati a incrociarsi e sovrapporsi in un solo punto specifico, per poi tornare a divergere e allontanarsi nuovamente, sempre costanti nel loro andamento temporale. Nolan costruisce tutto l’impianto del suo film proprio in funzione della celebrazione di quel punto specifico, di quel momento e di quel luogo, che è per lui un crocevia dello spazio e del tempo, in cui i suoi protagonisti convergono.

Dunkirk è la celebrazione massima del concetto di sincronicità junghiana, tradotto da Nolan in un film bellico destinato alle masse. Per ottenere questo risultato, il regista è costretto a dare fondo al suo ampio bagaglio di mestiere, sapere e talento, un enorme capitale composto da una profonda conoscenza della grammatica del racconto per immagini, un’enorme intimità con il cinema di movimento, delle profonde e mai banali riflessioni sul funzionamento dell’universo, una smodata passione per la matematica e le strutture labirintiche, una serie di sconfinate competenze tecniche e, soprattutto, di un occhio più unico che raro. E, a tutto questo, aggiunge un elemento che nelle sue opere precedenti gli è spesso mancato: la misura.

I soldati di Dunkirk

In Dunkirk Nolan decide di non strafare, di non affastellare concetti ed elementi l’uno sull’altro, di non frastornare lo spettatore, di non volerlo stupire con la sua acuta intelligenza e le sue trovate manifeste. Sceglie, invece, di raccontare un evento narrativamente semplice e noto a chiunque, in una maniera estremamente complessa e stratificata. Ed è solamente attraverso il “come”, e non anche attraverso il “cosa”, che esplica le reali riflessioni che stanno dietro alla sua opera. Perché Dunkirk è un film sulla Seconda guerra mondiale solo ad un primo livello di lettura ma, in realtà, è un trattato sulla matematica che ci mostra come la matematica, quando davvero complessa, appare come inspiegabile all’uomo che è costretto a ricorrere a concetti come il destino o Dio per spiegarsela. Ecco, questo è quello che Nolan ci sta davvero dicendo con il suo film: che Dio è matematica. E Dunkirk è la sua omelia.

Dunkirk di Christopher Nolan

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