Quando si parla di Steven Spielberg è praticamente inevitabile parlare del suo genio. Quando si parla del genio di Steven Spielberg è praticamente inevitabile parlare dei primi film che lo hanno imposto rispetto al pubblico mondiale (Lo squalo, Incontri ravvicinati del terzo tipo, I predatori dell’arca perduta, E.T.). Quando si parla di Steven Spielberg e si vuole discutere della versatilità del suo talento, si tirano in ballo i suoi capolavori drammatici come Il colore viola, L’Impero del sole, Schindler’s List, Salvate il soldato Ryan, Munich. Oppure si celebra il suo tocco leggero, che si rifà al lavoro di altri giganti come Capra e Wilder, in opere come Prova a prendermi o Il ponte delle spie.
Fatto sta che, quando si parla di Steven Spielberg, del meglio di Steven Spielberg, raramente si tira in ballo Jurassic Park, perché di quel film la prima cosa che ti viene in mente da ricordare è il sense of wonder che quella pellicola sa ancora oggi suscitare con la prima apparizione a schermo dei brotosauri. E poi, tutti gli straordinari effetti speciali (un misto di analogico e digitale che, ancora oggi, reggono il passare degli anni molto meglio di tanti effetti moderni) che arricchiscono ogni momento della pellicola.
Eppure, Jurassic Park non è solamente un film fatto di sense of wonder ed SFX ma è un’opera di grandissima regia. Forse la migliore che Spielberg abbia mai realizzato, incredibilmente ricca di invenzioni visive e dinamiche. Dall’apertura della pellicola, assolutamente terrorizzante, alla già citata meraviglia suscitata dalla rivelazione delle creature preistoriche. Dalla follia di Mr. DNA alla sequenza della riattivazione della corrente elettrica con la scalata del recinto dell’alta tensione. Dalla disperata corsa nella notte del perfido hacker alla caccia nella giungla.
Non dimenticandoci, ovviamente, delle due lunghissime ed elaborate sequenze del T-Rex alle prese con le Jeep del parco, un vero trionfo delle dinamiche di azione e reazione, un cinema di movimento purissimo, degno di un capolavoro del cinema muto. Il tutto costellato da un’infinità di momenti iconici: l’occhio del raptor, l’acqua che vibra nel bicchiere e poi nella pozzanghera, l’occhio del T-Rex e… potrei continuare a lungo.
Il momento in cui tutto trova la sua massima espressione è però quello che comincia nel ristorante del Jurissic Park, con l’invenzione visiva della gelatina verde. Alexis, la bambina bionda, è seduta al tavolo, assieme al suo fratellino Tim. Alle spalle di Tim vediamo un trompe-l’oeil raffigurante una foresta e un raptor. Alexis ha in mano un cucchiaio ricolmo di gelatina verde e se lo sta portando alla bocca, quando vede qualcosa che noi ancora non vediamo (1).
Il tremore della gelatina, dovuto al tremore della mano della ragazza, ci anticipa il terrore che un attimo dopo vedremo sul suo volto. Controcampo su Tim, che ha visto sua sorella farsi bianca in volto ma non ha ancora capito per quale ragione (2).
Alle spalle del ragazzino vediamo allungarsi l’ombra di un vero raptor che va a sovrapporsi alla rappresentazione del raptor stesso. Inizia la fuga che porta i due ragazzini a barricarsi in una cucina industriale (3).
I raptor non possono entrare, a meno che non abbiano imparato ad aprire le porte. Dice un personaggio. E vediamo l’artiglio di un raptor che abbassa la maniglia della cucina, ed entra (4).
L’ambiente è una sorta di labirinto costituito dai banconi metallici di mezza altezza. Non è una scelta casuale perché permette a Spielberg di creare, nella stessa inquadratura, un doppio livello di narrazione: tutto quello che sta sotto il livello dei banconi (cioè, i due ragazzini) è la preda, tutto quelle che vediamo svettare sopra (cioè, i raptor) sono i predatori (5).
In ogni inquadratura, in ogni momento della scena (lunga e praticamente muta), allo spettatore viene concessa la possibilità di capire dove si trovano i vari protagonisti nello spazio e di come i loro movimenti li avvicinino o allontanino l’uno dall’altro, aumentando a dismisura la tensione drammatica. È un cinema di movimento, raccontato con una spietata e ineluttabile precisione geometrica. Finte, inseguimenti, rincorse, tutto è razionalizzato per fare in modo che lo spettatore sappia esattamente cosa sta succedendo e cosa succederà. Una finta, poi un’altra, un mestolo che cade (6).
E il primo raptor finisce chiuso nella cella frigorifera (7).
Non c’è trucco e non c’è inganno perché tutto è stato raccontato senza ambiguità narrative. Ora Spielberg ha la piena fiducia del pubblico. E, ovviamente, la tradisce. Non c’è trucco e non c’è inganno tranne quando c’è, come nel momento in cui il regista ci induce a credere che quella che vediamo sullo schermo sia davvero Alexis, chiusa nel vano del portavivande, e non la sua immagine riflessa nel pannello metallico di uno dei banconi (8).
Ci caschiamo noi (ogni volta che rivediamo il film) e ci casca anche il raptor, che si schianta di testa e perde i sensi. Un sospiro si sollievo enorme. I ragazzini si dirigono verso l’uscita. Vittoria. Ma momentanea. Perché il raptor più sveglio è ancora in piedi e, in giro, c’è ancora il T-Rex. Ma quella è una storia per un altro momento.
JURASSIC PARK – 25° ANNIVERSARIO
- Distribuzione: Universal H.E.
- Formato: Dvd e Blu-ray (edizione speciale 4 dischi)
Foto: © Universal Pictures/Amblin Entertainment
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