Roberto Recchioni su Pitch Black: nel buio nessuno vi sentirà urlare
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Roberto Recchioni su Pitch Black: nel buio nessuno vi sentirà urlare

Il celebre fumettista analizza una scena clou si Pitch Black, cult fantasy/sci-fi con protagonista Vin Diesel

Roberto Recchioni su Pitch Black: nel buio nessuno vi sentirà urlare

Il celebre fumettista analizza una scena clou si Pitch Black, cult fantasy/sci-fi con protagonista Vin Diesel

Strana la carriera di David Twohy. Esordisce lavorando come sceneggiatore in filmetti horror di serie B, azzecca il colpo della vita con lo script del Fuggitivo, entra nel giro grosso partecipando alla scrittura di rimarchevoli insuccessi (Waterworld e Soldato Jane, tra i più noti), fa una prima regia televisiva di nessun interesse a cui segue un film di fantascienza per le sale con qualche idea interessante e un Charlie Sheen in parabola discendente (The Arrival) e poi, quando nessuno si aspetta più niente da lui, azzecca un gioello, Pitch Black, che non solo gli cambia la vita per sempre, ma che la cambia anche all’attore protagonista, un allora sconosciuto Vin Diesel. Il perché del successo di pubblico e critica di Pitch Black è presto detto:

  • Ha una struttura semplice che si poggia con intelligenza su dei topoi classici dei film di fantascienza ma è anche capace di ribaltarli.
  • Presenta al pubbblico un antieroe come Riddick, un protagonista di stampo carpenteriano (alla maniera di Napoleone Wilson o di Jena Plissken) di grande carisma, interpretato da un futuro divo in rampa di lancio.
  • Fa interagire in maniera felice le sue premesse narrative con le meccaniche dell’azione. Un pianeta eternamente illuminato che diventa però un luogo totalmente buio quando i suoi tre soli si allineano, i mostri ciechi che rifuggono dalla luce ma escono fuori con le tenebre e gli occhi di Riddick, che lo rendono capace di vedere nel buio. Elementi “ludici” che Twohy unisce egregiamente assieme, creando situazioni semprediverse e sequenze di grande tensione e interesse.

Tra queste, vale la pena segnalare uno dei momenti finali in cui gli ultimi superstiti di un naufragio spaziale, dopo una disperata (e visivamente molto riuscita) fuga nel deserto illuminata solo da spettrali luci al neon (1), sono costretti ad affidare la loro vita a Riddick, un pericoloso criminale spaziale, unico tra di loro in grado di fronteggiare le bestie aliene che vogliono divorarli.

È tutto blu (il film fa un abuso di color correction per mascherare la povertà della produzione) a parte le luci bianchissime delle lanterne dei sopravvissuti (2).

Il debito cromatico con l’Aliens di James Cameron è evidente. Riddick e gli altri corrono tra i canyon, sotto una pioggia scrosciante. Poi si fermano di colpo. Passiamo nella visione notturna di Riddick (una specie disoggettiva alla Predator ma violetta) (3):davanti al gruppo ci sono i mostri. Riddick li studia e capisce quando è il momento di far scattare il suo gruppo per passargli in mezzo, sfruttando la luce delle lanterne che li accecheranno.

Passiamo nella soggettiva degli alieni (che somiglia alla neve di un vecchio televisore sintonizzato su di un canale morto), (4) che si vedono sfilare sotto il naso gli umani.

Il gruppo avanza ma Riddick rimane indietro, senza alcuna fonte di luce a proteggerlo dalle creature (5). Una di queste si fa avanti. Il criminale è un tipo tosto ma quelle bestie sono troppo anche per lui. Riddick corre disperatamente, ormai è una facile preda. Gli altri superstiti raggiungono la nave con cui fuggire ma tentennano: non vogliono lasciare Riddick a morire. L’uomo però, ha una brutta gatta da pelare per le mani perché si trova faccia a faccia con un mostro.

Si passa da una soggettiva all’altra, sottolineando le affinità di visione tra la bestia uomo e la bestia aliena. Riddick tenta il tutto per tutto e, invece di scappare, si proietta in avanti, arrivando a pochi centimetri dal muso della creatura assassina che sta affrontando, assecondandone i movimenti per sfruttare l’angolo cieco nella visione dell’avversario (che aveva scoperto precedentemente) e restare invisibile ai suoi occhi. È una specie di mortale passo a due che Twohy ha la felice intuizione di inquadrare a picco dall’alto, sottolineando la feralità del suo protagonista (e definendone, ancora di più, la statura mitica) (6).

Primo piano del mostro, primo piano di Riddick. Soggettiva del mostro che non riesce a individuare la sua preda. Riddick che lentamente arretra e torna nelle ombre, sparendo in quel buio che è sempre stato suo alleato. Poi le cose si complicano, arrivano altri mostri e il furiano sarà costretto a combattere. Ma il budget è quello che è e Twohy opererà una intelligente cesura, per mostrarci solo l’esito dello scontro (che non vi rivelo), qualche attimo dopo.

Se Pitch Black fosse uno di quei film che piacciono alla critica accademica, si sarebbero spesi fiumi di parole sul rapporto tra il film e lo sguardo, tra il film e l’occhio. Invece è “solamente” una riuscitissima pellicola a basso costo, scritta con particolare acume e diretta con straordinaria furbizia e misura, lavorando con poco per ottenere molto. Tutte qualità che, purtroppo, il regista perderà di vista nel sequel di qualche anno dopo, che si rivelerà essere un film gigantesco, barocco e costosissimo, non brutto ma bolso ed eccessivo, in ogni sua parte. Un peccato, che però non intacca assolutamente la qualità del Pitch Black originale e lo straordinario carisma di un personaggio come Riddick.

Pitch Black è disponibile in streaming dal 9 dicembre su Infinity

Foto: © Polygram Filmed Entertainment/Interscope Communications

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