Tra le molte cose disponibili sulla sua piattaforma Amazon Prime Video c’è, per esempio, la serie televisiva Columbo (Colombo da noi) creata nel 1968 da Richard Levinson e William Link e interpretata da Peter Falk. Per i non giovanissimi, questo “telefilm” non ha bisogno di alcuna presentazione perché per decenni ha occupato uno spazio fisso nei palinsesti delle televisioni private, conquistando tanto gli spettatori casuali quanto gli appassionati ma, per i più giovani, vale la pena di spendere due parole per raccontarla.
Colombo è un tenente della “squadra omicidi” di Los Angeles, un italo-americano dall’aria trasandata con addosso un impermeabile beige sporco e sgualcito, fuma il sigaro (ma non porta mai con sé qualcosa per accenderlo), nessuno conosce il suo nome di battesimo (anche se si suppone che sia Frank) e nessuno ha mai visto sua moglie, anche se lui ne parla spesso. Oltre a questo, è dotato di grande intuito (ma la gente tende a sottovalutarlo a causa del suo aspetto) e quando è convinto di aver capito chi è il colpevole del “caso della settimana”, non lo molla più diventando una sorta di molestissimo stalker.
Tra le molte qualità della serie (oltre alla grande caratterizzazione di un personaggio che è facilissimo amare) ci sono i grandi nomi alla regia dei moltissimi episodi (Steven Spielberg, John Cassavetes, Ben Gazzara, Jonathan Demme, Ted Post, tra gli altri) e le star che si sono prestate a interpretare il cattivo di turno (davvero troppe per essere elencate). Ma la vera particolarità degli episodi di Colombo – e una delle ragioni dell’enorme successo della serie – è data dalla particolare struttura narrativa che ribalta lo schema del giallo classico per rivelare sin da subito allo spettatore l’identità dell’assassino, le sue motivazioni e il metodo con cui ha ucciso. In questo modo, lo spettatore non è sfidato a capire chi è stato a uccidere, come e perché. Ma, piuttosto, a intuire come Colombo riuscirà a incastrarlo, creando uno strano rapporto empatico tra il pubblico e la vittima che, in certi momenti, sembrerà quasi perseguitata da questo strano poliziotto che proprio non vuole saperne di mollare l’osso che ha addentato e che, quando sembra che stia per andarsene, torna sempre indietro per “un’ultima domanda”.
Ora, Levinson e Link hanno sempre dichiarato un debito creativo con Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij e in parte è anche vero. Ma è un poco come dire che Star Wars ha un debito creativo con la tragedia greca e tralasciare di citare Flash Gordon, John Carter di Marte e i film di samurai di Akira Kurosawa. Aggiungiamo poi che, in Delitto e castigo non appare alcun molesto detective a perseguitare Raskòl’nikov. No, le origini di Colombo sono molto più prossime e vanno ricondotte a quel genio di Billy Wilder che nel 1944 (assieme al maestro dell’hard boiled americano, Raymond Chandler) diede alla luce uno dei suoi molteplici capolavori: Double Indemnity (La fiamma del peccato).
La pellicola fa parte del periodo più cupo e cinico del regista e racconta le vicende di Walter Neff (Fred MacMurray), un bravo agente assicurativo, che per desiderio e cupidigia concepisce un elaborato e geniale omicidio ai danni di un uomo molto ricco, con la complicità della di lui moglie. Tutto sembra filare liscio ma Barton Keyes (Edward G. Robinson) l’investigatore dell’agenzia di assicurazioni per cui lavora Neff (e suo grande amico) sente puzza di bruciato in quella faccenda e comincia a investigare.
Anche nel caso di Double Indemnity possiamo osservare come la struttura del giallo classico sia ribaltata e il punto di vista dello spettatore venga messo alle spalle dell’assassino, cosa che toglie a Colombo il primato di aver “inventato” lo schema narrativo, e la figura di Keyes, un uomo tarchiato, con la faccia da bulldog e il sigaro sempre tra le labbra, facile da sottostimare se non fosse per il suo “bernoccolo” per le truffe, è praticamente sovrapponibile a quella del nostro amato tenente. Basterebbero pochissimi accorgimenti per trasformare il gioiello di Wilder in un episodio della serie.
Ma questo significa forse che Colombo abbia meno valore? Tutt’altro. Anzi, a Levinson e Link va riconosciuto il merito di aver visto una opportunità narrativa evidente nell’opera di Wilder e di averla esplorata al meglio, espandendone le possibilità e la portata. La serie televisiva di Colombo, così come La fiamma del peccato, è un capolavoro che merita di essere riscoperto anche dagli spettatori più giovani e, adesso, è anche facile.
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