Siamo a Parigi, il capitano Mattei sta guidando un’operazione per sventare una rapina in banca, quando improvvisamente quasi tutti i suoi uomini vengono uccisi da un cecchino appostato su un tetto. Alcuni rapinatori riescono a scappare ma uno di loro, il cecchino, viene catturato. Da questo momento inizia la caccia al resto della banda, all’interno della quale, nel frattempo, cominciano a palesarsi intrighi e misteri che metteranno i componenti l’uno contro l’altro.
Questa la trama de Il cecchino, coprodotto da Francia, Italia e Belgio, diretto da Michele Placido e interpretato da Daniel Auteuil, Mathieu Kassovitz, Luca Argentero e Violante Placido.
Il film, presentato oggi fuori concorso al Festival del Cinema di Roma, è un action thriller che vuole far riflettere il pubblico sulla psicologia dei personaggi facendone emergere la loro morale più profonda e mettendoli di fronte al loro vero essere. Regista e attori (presenti in sala Luca Argentero e Violante Placido) hanno presentato oggi il film alla stampa. Ecco cosa hanno raccontato.
Questo film sancisce definitivamente il fatto che Michele Placido è regista di film action ma anche di genere. Precedentemente lei aveva realizzato film a metà strada tra l’azione e il dramma storico-politico. Come mai la scelta di dedicarsi esclusivamente al cinema di genere?
Michele Placido: «Non è una scelta, in realtà. Non sono un autore, ma un buon professionista, ecco perché i francesi mi hanno chiamato. Ho girato un film di cui non ho scritto una riga… bisogna adattarsi, no? Tutto è nato da Romanzo criminale, che in Francia ha avuto un grande successo. Daniel Auteuil e Mathieu Kassovitz sono venuti proprio perché hanno amato moltissimo quel film. Non penso di essere intervenuto oltre, al di là di aver diretto gli attori in base alle mie emozioni e alle mie sensazioni».
Questo è anche un film dal carattere fortemente morale. All’interno ci sono i personaggi che si dividono e agiscono secondo la loro morale, che è molto forte. È stato un elemento determinante per l’accettazione del progetto?
M.P. : «Sì. Avevo anche altri progetti di produttori francesi, ho scelto questo che mi era più vicino per molti motivi, innanzitutto per il genere, che amo. È stata veramente una bella esperienza».
Si sente un regista “migrante”? Insomma, “va’ dove ti porta il lavoro”? Un lavoro che magari non riesce a trovare con soddisfazione in Italia?
M.P. : «In realtà ci sono progetti in Italia che mi attirerebbero moltissimo, il nostro Paese negli ultimi anni è stato teatro di grandi storie molto affascinanti. Pensiamo a quello che è accaduto e che tiene ancora viva la cronaca giudiziaria e politica del nostro paese; pensiamo ai collegamentitra mafia e Stato, di cui non è stato raccontato quasi nulla. Sarebbe un dovere raccontare queste storie, e se partisse l’idea da parte di qualcuno, io sarei pronto a mettermi in gioco. Da parte degli autori da qualche anno c’è una sorta di autocensura. Se venisse data maggiore possibilità, anche io starei molto più volentieri a lavorare qui su una storia, magari riguardante Marcello Dell’Utri, tanto per fare un nome. Gli americani, per dire, lo avrebbero già fatto. Lo farei per capire veramente se è un personaggio con delle colpe o meno e quali sono le reali motivazioni per cui viene messo sotto osservazione dai parte dei giudici».
Pensa che i film di denuncia in Italia non vengano realizzati per mancanza di produttori “coraggiosi”, o per mancanza di autori, che magari preferiscono la commedia che è molto più appetibile per il pubblico?
M.P. : «È tutto collegato. Penso che entro qualche anno si ritornerà nel vivo delle vicende degli ultimi anni, magari se ne occuperanno soprattutto i giovani perché, rispetto a noi, avranno più fantasia e voglia di fare questo tipo di film, e anche perché sono più “incazzati” di noi. Ritengo che un po’ tutti dobbiamo fare uno sforzo, da questo punto di vista, ci sono molte persone di buona volontà che aspettano un segnale, magari anche dal governo. Penso che se si vuole dare qualche segnale forte lo si debba fare attraverso la cultura, magari cercando di raccontare, non solo in tv ma anche al cinema. La storia d’Italia, se il governo riuscisse a stanziare dei fondi per mettere in cantiere dei film sulla storia civile del nostro paese, penso che sarebbe questo un segnale importante di una voglia di ricominciare, soprattutto per i giovani».
Luca e Violante, siete tornati a lavorare con Michele ma in un progetto “strano”: italiano ma fuori dall’Italia, con dei ruoli italiani in un paese straniero. Come è stata questa esperienza?
Luca Argentero: «La chiamata di Michele è una chiamata alle armi! C’è un senso di dover accettare, è impossibile dirgli di no. Reduce dall’esperienza de Il grande sogno non sono più stato lo stesso attore. So per certo che tutte le volte che ti trovi a lavorare con lui non sarai lo stesso attore che ha iniziato il film. È questa la cosa più bella che possa succedere a un interprete perché, nel corso della lavorazione, sei sicuro che imparerai qualcosa. La chiamata è avvenuta a pochi giorni dall’inizio del film e credo che avrei detto di sì anche se mi avesse offerto di fare il pescivendolo armeno in un film senza capo né coda. In questo caso però l’offerta era esaltante, perché penso che qualsiasi attore della mia età sogni di tenere in mano una pistola e sparare qualche colpo. È stata un’esperienza bellissima, in un film importante ed enorme, grazie anche agli attori con cui ho lavorato che in Francia sono nomi di grandissimo spessore, quindi la mia esperienza è stata legata a persone da cui ho imparato molto.»
Violante Placido: «Questo è un film al maschile in cui ci sono piccoli personaggi femminili che vivono attraverso scene intense e violente. Per me è stato bellissimo avere la possibilità di confrontarmi per la prima volta con il cinema francese, con un’altra lingua e con degli attori straordinari. Anche attraverso poche scene mi è rimasto qualcosa di costruttivi. Lavorare con mio padre e con Kassovitz è stata un’esperienza intensa. Penso di avere in comune con mio padre un approccio istintivo e viscerale, sul set con lui c’è quasi un “terremoto”, è comunque un processo creativo che mi appartiene, che mi mette in subbuglio e mi tira fuori molte emozioni. Con Kassovitz è stata la stessa cosa, lui ha un approccio sanguigno, ci siamo lasciati travolgere dalle nostre scene. Con Auteuil ho trovato un grandissimo attore molto serafico che sul set ti mette molto a tuo agio e poi sprigiona la sua forza magnetica in scena».
Michele, una delle cose più preoccupanti del cinema italiano è il fatto di non avere uno sguardo verso l’Europa. Lei con Il cecchino compi un passo molto forte, è possibile secondo lei pensare un’apertura del nostro cinema attraverso il “genere”?
M.P. : «Io credo che potrebbe essere un’idea. Su questa esperienza si può iniziare a lavorare, prendendola come punto di riferimento. Io ho in cantiere un altro film, che non è politico, è una storia d’amore tratta da un testo teatrale di Pirandello. Anche questo sarà un film italiano trapiantato in Francia, in un momento di difficoltà del nostro cinema, dovremmo cominciare a guardare questo paese; loro amano il nostro cinema. Dovremmo cominciare a riflettere per programmare una cinematografia italo francese. Loro stanno andando molto forte sia nella commedia che nel cinema d’autore».
Come attori, avete pensato ad un’operazione di “movimento”, vista la tradizione degli attori italiani di muoversi in ambito europeo, soprattutto verso la Francia?
L.A.: «In un momento in cui lavorare è un lusso, io sono felicissimo di avere delle proposte così. In realtà gli attori sono l’ultima ruota del carro in fatto di scelte».
M.P. : «In Italia abbiamo un parco di attori che in Francia ci invidiano, conosciuti e stimatissimi dai produttori francesi, dobbiamo fare dei cantieri qua, anche se c’è da progettare molto».