Una casa di produzione come la HBO e uno sceneggiatore di nome Aaron Sorkin alle spalle. The Newsroom si presenta così, un prodotto di altissima qualità che racconta le storie all’interno della “sala dei bottoni” di una redazione televisiva americana, mostrando i meccanismi e le macchinazioni dietro la realizzazione di un notiziario, e non solo. Arrivata alla seconda stagione negli Stati Uniti (in attesa di una terza, appena confermata, per il 2014) The Newsroom approda per la prima volta in Italia e sarà trasmessa da Rai 3 a partire dal prossimo 17 ottobre.
Se siete curiosi di scoprire i processi che intercorrono dai fatti alla notizia, questa serie fa decisamente per voi. Se invece vi state chiedendo cosa succede nella nostra redazione, non vi preoccupate, ci stiamo attrezzando anche noi con la HBO (ovviamente stiamo scherzando!).
Per promuovere lo show in occasione del Roma Fiction Fest è giunto a Roma Thomas Sadoski, che in The Newsroom interpreta il produttore esecutivo Don Keefer. Formazione teatrale, faccia pulita e un sorriso genuino contagioso. Accompagnato dalla moglie (casting director), Sadoski ci ha raccontato la sua idea del giornalismo attuale (ribadendo il concetto di interpretare un giornalista, e non di esserlo veramente), delle vacanze in Toscana e di come tutti credessero che portasse sfortuna. Per la cronaca, se ve lo state chiedendo il suo colore preferito è il blu. Ecco il resoconto dell’evento.
È la prima volta che vieni in Italia?
Thomas Sadoski: «Sono stato in Toscana per due settimane un paio di anni fa. Ha piovuto tutto il tempo. Ma è stato bellissimo! Però visto che era maggio la gente del luogo pensava che fosse colpa mia, che avevo portato il temporale dagli Stati Uniti, e che fondamentalmente portassi un po’ sfortuna! Comunque amo l’Italia, è una gioia per me essere qui».
Ha iniziato la sua carriera dal teatro, com’è ritrovarsi nel mondo della televisione e del cinema?
TS: «Il mio cuore rimane sempre al teatro. Ho studiato all’Acting School di New York e questa forma d’arte ha avuto una grande influenza su di me ed è li che ho conosciuto molte persone che stimo. Mi sono innamorato così di questa professione. Sono molto elettrizzato dalla possibilità di esplorare nuovi media, e davvero curioso di vedere come andrà. Nella televisione e nel cinema ci sono maniere di lavorare totalmente diverse, e io sono pronto a raccogliere la sfida».
C’è qualcosa che rimpiangi?
TS: «Sì».
Non essere più un attore teatrale?
TS: «Mi manca, questo è certo, perché recitare a teatro è fare qualcosa dal vivo, con il pubblico. È un momento davvero magico quello che si crea quando hai delle persone nella stanza e racconti loro una storia. In The Newsroom, grazie alla sceneggiatura impeccabile di Aaron Sorkin, simuliamo il teatro. Questo mi ha aiutato nella transizione, che è stata comunque difficile, ma la serie, visti i ritmi e la sceneggiatura, sembra un riflesso del teatro stesso. Aaron scrive davvero dei perfetti testi teatrali adattandoli per la televisione».
Come sei stato scelto per il ruolo?
TS: «Mi hanno visto in altri progetti e hanno pensato che potesse essere interessante vedermi in questa serie. Ho fatto il provino, è andata bene, e mi hanno scelto per la parte».
Che riscontro ha avuto, nel pubblico degli addetti ai lavori, The Newsroom in America?
TS: «C’è stato un dibattito. Personalmente sono stato contattato da giornalisti e producer. C’è stata una comunicazione costante per la realizzazione dello show. Positiva o negativa, una comunicazione ci deve essere. Personalmente mi hanno sempre detto cose positive, delle volte ci sono state delle critiche, ma è normale. Alcuni vostri colleghi mi hanno detto che le critiche sono positive, perché nel vostro lavoro dovete essere duri e attaccare ed è utile, anche se difficile, avere uno specchio che ti mostra i pregi e difetti della tua professione. Per me è una gioia essere parte di questo dibattito. Ho partecipato con piacere a questa discussione, vuol dire che la serie funziona».
In The Newsroom spesso parlate di fatti di cronaca, anche gravi: come vi rapportate con questo?
TS: «La serie racconta episodi veri e altre storie che non lo sono. Quando si verificano i fatti più impensabili o brutti è orribile. Ad esempio nella seconda stagione citiamo l’uso dei gas contro donne e bambini, come è successo in Siria poco tempo fa. Se c’era una cosa che non avremmo voluto vedere, o prevedere, era proprio questa».
L’America ha una tradizione di film girati all’interno delle redazioni. Hai dei piccoli amori segreti sul genere?
TS: «La ragazza del Venerdì, è un film degli anni ’30 con Katharine Hepburn. Sono più il tipo “vecchia scuola”. Adoro lo stile dei dialoghi di una volta!»
Che rapporto ha con sua moglie, che nella vita fa la casting director? Vi scambiate consigli sul lavoro?
TS: «Sì e no. Lei ha più talento di me nel suo lavoro che io nel mio, non devo darle io dei consigli. Mi affido molto a lei, è la mia detective. Mi dà delle dritte ed è il mio supporto costante. Ha un occhio perfetto! Non le insegno nulla, anzi, lei mi aiuta a tenere sempre gli occhi aperti per non sbagliare. Ed è la stessa risposta che avrei dato, anche se non fosse stata qui in questa stessa stanza…»
Qual è il futuro della professione di giornalista secondo lei
TS: «Io non sono un giornalista, anche se ne interpreto uno per la tv. Questo però non mi autorizza a lanciarmi in congetture sul futuro della professione. Non sono un esperto del giornalismo. È importante ricordarlo sempre, anche per me, perché non posso andare in giro e parlare di una professione che conosco solo perché recito una parte. Non è che George Clooney se ne va in giro per strada a operare la gente no? Questa serie ha acuito il mio interesse sulla questione. Adoro l’idea che ognuno di noi può riportare notizie, in modo facile e veloce grazie ai new media. Chiamare “vecchio giornalismo” quello via cavo mi fa effetto. In ogni caso queste nuove tecnologie richiedono un maggiore controllo, quindi devono essere usate con maggiore cautela. Abbiamo sempre visioni differenti e contrastanti e per questo occorre controllare l’accuratezza di fonti e fatti, questo dovrebbe fare il giornalismo. Perché la realtà è diversa, è fatta anche di quelle notizie che non vorresti sentirti dire».