Tom Kane è il diavolo. Sfortunatamente, è anche il sindaco di Chicago. Sfortunatamente, intendiamo, per tutti i cittadini della metropoli americana, perché nonostante la malattia degenerativa che lo affligge e che è destinata a trasformarlo in un vegetale, Kane non ha nessuna intenzione di cedere la sua poltrona, né di far pace con i fantasmi del suo passato, o di recuperare il rapporto con sua figlia: quel che gli interessa è il potere, e per mantenerlo è disposto letteralmente a qualsiasi cosa. Questa perfetta metafora di ciò che è diventata oggi la politica, è anche la trama di uno dei serial più sorpredenti, meglio scritti e recitati degli ultimi anni, Boss, per il quale bisogna ringraziare la rete via cavo Starz (la stessa di Spartacus). Un serial che è valso al suo straordinario protagonista, Kelsey Grammer (reso celebre dalla sitcom Frasier), un Golden Globe (ma niente nomination agli Emmy, il che ha destato molte perplessità…), e che negli Usa è in piena seconda stagione. Mentre in Italia sarà trasmesso a partire proprio da stasera su Rai Tre.
Grammer è a Roma ospite del RomaFictionFest, e questa è la cronaca dell’incontro pubblico andato in scena ieri, e moderato da Marco Spagnoli.
Cosa l’ha guidata dal teatro al cinema, cosa l’affascinava?
Volevo provare nuovi modi di raccontare storie, ecco perché ho provato anche con la televisione: non ho ancora finito di raccontare storie. Ma detto francamente avevo anche bisogno di soldi perché era nata da poco la mia prima figlia. Essere creativo e fare soldi non è un crimine in America, così ho deciso di sperimentare anche la televisione, che ha un’energia diversa dal teatro.
Negli anni è diventato anche produttore di alcuni show, perché questo cambiamento? Per avere un ruolo di scelta maggiore e al contempo apportare la propria esperienza?
Se devo essere sincero per me un produttore deve intromettersi il meno possibile. Deve scegliere le persone migliori per ogni figura lavorativa e deve aiutarli a concretizzare la loro visione del prodotto, guidandoli al contempo verso la sua. Per me non è stato complicato, se non recito cerco di essere un buon leader e guidare il mio team al meglio, offro soluzioni in caso di problemi ma non mi piace essere il personaggio dominante, semmai sono quello che aiuta, cerco qualcuno che voglia raccontare una storia e gli do l’occasione giusta.
Come sceglie sia i ruoli da interpretare che gli show da produrre? Cosa l’attrae di un testo?
Tutto ciò che sembra vero, non deve essere vero necessariamente, ma lo deve sembrare in modo che ci si possa credere. Mi piace lo stile, le situazioni estreme, le persone che si trovano in situazioni che sorprendono. I drama sono più accessibili in questo senso perché parlano di eventi che hanno a che fare con la vita delle persone. Voglio fare qualcosa che non ho mai visto prima e che mi faccia credere che sia vero.
Cosa rende affascinante Frasier secondo lei? E qual’è il punto di contatto fra lei e il personaggio?
Per me è una sorta di gemello cattivo: per lui è tutto una questione di vita o morte, vive una costante crisi. La prima volta che lessi il personaggio si trattava di uno molto innamorato ed era qualcosa che non avevo mai recitato: era incapace di amare nonostante l’amore che provava, una cosa che riscontri in molti americani.
C’è un personaggio televisivo che ha sognato ma che non ha potuto interpretare?
Vorrei fare un western, vorrei interpretare Sean Connery, e mi piacerebbe molto poter interpretare Amleto.
Per creare la serie televisiva Boss avete preso come fonte di ispirazione The Wire?
No, non è stata una fonte di ispirazione The Wire, questo perchè evito programmi simili a quello che faccio per arrivare fresco, senza influenze, al dunque, perché non voglio rubare da altri, voglio creare per me.
Cosa ne pensa della messa in onda di political drama durante il periodo delle elezioni, e soprattutto pensa ancora che esista propaganda nel cinema e nella tv?
Credo che Hollywood faccia la sua parte nell’influenzare con i suoi prodotti le persone, in maniera più o meno involontaria. Ma come diceva uno dei più grandi presidenti della storia americana, Abraham Lincoln: “puoi ingannare molte persone ma non tutte”, quindi non tutti pensano come gli dicono di pensare i media.
Non ha paura di interpretare un ruolo da villain o comunque un personaggio negativo, come in Boss?
Non ho mai avuto paura di interpretare un personaggio così negativo. Se non sei cattivo non c’è redenzione, ed è questa la sfida più grande.
Perché i prodotti seriali statunitensi sono molto curati, forse anche più di alcuni film (ad esempio) italiani?
La televisione lascia la libertà creativa. I film a Hollywood devono fare i soldi, quindi il rischio è più alto. Il lavoro sulle reti via cavo è invece più semplice da gestire sotto questo punto di vista, perché ci sono più canali per raccontare storie. Le storie più piccole sono perfette per il piccolo schermo, per questo c’è più libertà.
Ci è rimasto male per l’esclusione dagli Emmy?
Sono rimasto sorpreso, sto cercando ancora di assimilare l’accaduto, ma sono cose che succedono. Penso sinceramente di aver fatto il lavoro migliore di tutta la mia carriera e per questo penso si sia trattato di una svista.
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