Sono ormai passati 40 anni da quando il regista di origini polacche Roman Polanski abusò di una tredicenne in America. All’epoca dovette trascorrere 40 giorni in cella prima di essere scarcerato. Quando scoprì che che i tre mesi di cure psichiatriche previste per il suo caso si sarebbero potuti trasformare in 50 anni di galera, fuggì dagli Stati Uniti e non vi fece mai più ritorno. Sono anni che il regista migra da un paese all’altro d’Europa evitando l’estradizione tra mille complicazioni. E infatti nel 2010 a causa di un tentativo di estradizione trascorse un anno tra prigione e arresti domiciliari in Svizzera.

A 83 anni, Polanski, che ha trattato la sua vicenda personale anche in un documentario presentato qualche anno fa al Festival di Cannes,  ha chiesto tramite il suo avvocato alla Corte Suprema di Los Angeles di poter sapere preventivamente se un suo eventuale ritorno in America comporterebbe la detenzione in prigione o una condanna in contumacia.

Il giudice Scott Gordon si è rifiutato di rispondere alla domanda di Polanski, affermando che Polanski non può pretendere di dettare le condizioni di un processo da lontano. Ribadendo che se vuole conoscere le condizioni della pena a lui eventualmente comminata deve presentarsi di persona. La Corte suprema non vuole creare un precedente legato a una celebrità importante come quella del premio Oscar per Il pianista.

Da questi presupposti sembra di capire che sia sempre più difficile che la situazioni si sblocchi.