Dopo Il primo re, Matteo Rovere continua a raccontare il mito della fondazione di Roma in Romulus, la nuova serie in onda dal 6 novembre su Sky in dieci episodi. E alla Festa del Cinema di Roma il regista presenta i primi due episodi, un salto nel tempo all’ottavo secolo prima di Cristo, quando trenta popoli coi loro re si riuniscono attorno ad Alba stremata dalla siccità per una terribile lotta di potere. Al centro del cast tre giovani che dovranno combattere per il loro destino: Andrea Arcangeli nei panni di Yemos, erede al trono scampato a un tentativo di omicidio, Marianna Fontana, la vestale Ilia, e Francesco Di Napoli, il giovane Wiros, mandato coi coetanei nel bosco per la prova di iniziazione all’età adulta. Un mondo arcaico e spietato dove prevalgono sete di potere e istinto di sopravvivenza.
Matteo Rovere, showrunner della serie prodotta da Cattleya, dirige insieme a Michele Alhaique ed Enrico Maria Artale. «È una serie sul potere e sulla nascita della politica nella prima città dell’occidente contemporaneo», spiega Rovere. «L’idea nasce ancora prima di Il primo re. Quando ho cominciato ad approfondire il mito fondativo di Roma, ho avuto la sensazione che fosse la grande occasione di creare uno show accattivante, pieno d’azione, sconvolgimenti emotivi e avventure umane. Allo stesso tempo, per noi, era l’occasione per proporre uno spettacolo nuovo nei modi di rappresentazione rispetto alle altre serie italiane. La grande sfida è misurarsi anche con un panorama internazionale».
Il lavoro è stato diverso rispetto a Il primo re, «dove ho raccontato la leggenda di Romolo e Remo come se fosse vera. In Romulus ci siamo immaginati al contrario la genesi di questa leggenda. Sulla fondazione di Roma esistono tante scuole archeologiche di pensiero: quella romana lavora sulla mitografia cercando elementi classici di ricostruzione, per la scuola anglosassone invece il mito di Romolo e Remo è solo una rappresentazione posteriore che i romani di età imperiale hanno inventato per darsi un’origine nobile e semidivina».
I primi due episodi sono visivamente sorprendenti. La ricostruzione storica è stata fedelissima: «Abbiamo riprodotto le città, le capanne, i costumi, le armi seguendo le indicazioni degli archeologi. Il mito, che di fatto è una favola, è stato invece rilavorato in maniera libera e fantasiosa: abbiamo creato un’arena alla Trono di spade restando coerenti con quello che potrebbe essere successo in quell’epoca».
Quello di Romulus è stato un set fisicamente impegnativo per gli interpreti. «Una vera sfida, un’esperienza totalizzante», la descrive Marianna Fontana. «Ilia ha tante fragilità, ma anche una grande forza interiore in questo mondo brutale. È una vestale rinchiusa nel tempio di Vesta dall’età di sei anni, ha il ruolo di sorvegliare il fuoco ma nutre un amore segreto».
Come Il primo re, anche Romulus è girato in proto latino, «una valenza in più che però complica la vita di un attore», dice Andrea Arcangeli. «In una serie gli episodi sono soggette a varie revisioni, quindi capitava che tra un ciak e l’altro cercassimo di imparare le scene della settimana successiva. Bisogna dare una credibilità a quella lingua, dare l’impressione che i personaggi la parlino tutti i giorni, si deve cercare naturalezza in una lingua morta e rielaborata».
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Per Francesco Di Napoli, al suo secondo ruolo importante dopo La paranza dei bambini, il set è stato «un tuffo nel passato: la ricostruzione del set mi ha aiutato a immedesimarmi veramente. Sento Wiros molto vicino: parte come schiavo e pian piano scopre il suo coraggio, come me sul set. All’inizio ero insicuro di me stesso ma col passare del tempo ho preso confidenza col set».
Romulus inanella scene crude, spesso centrate sulla battaglia, ma non è pensato solo per un pubblico maschile. «La sua qualità è tale che conquisterà anche un target più allargato», dice Nicola Maccanico, Executive vice president programming di Sky. «Uno dei temi del mondo audiovisivo, poi, è riuscire a costruire occasioni per i giovani talenti, come nel caso di Romulus».
«Nonostante sia ambientata nell’ottavo secolo prima di Cristo, è una serie a cavallo dei nostri tempi», specifica Filippo Gravino, co-sceneggiatore insieme a Rovere e Guido Iuculano. «Di solito le storie di ragazzi sono racconti di formazione. Il nostro invece è un romanzo di emancipazione: i protagonisti di Romulus vivono in un mondo arcaico e reazionario che ha imposto loro le proprie scelte. Anche oggi i giovani sentono di vivere un mondo deciso per loro che sentono il dovere di cambiare».
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