Non si può dire Gomorra senza dire Genny Savastano. E non si può dire Genny Savastano senza dire Salvatore Esposito. Volto centrale della serie, tratta dal romanzo di Roberto Saviano, l’attore napoletano ha esordito nel 2013 con lo show Il clan dei camorristi, che lo ha immerso fin da subito in quell’immaginario, fatto di gangster e criminalità organizzata, grazie al quale ha raggiunto il successo l’anno successivo con Gomorra – La serie, diventato un successo internazionale.
«Se ripenso a questi dieci anni rifletto su come il Salvatore di dieci anni fa, se si fosse ritrovato con le cose che ha fatto nel frattempo e gli incontri che ha avuto, non ci avrebbe mai creduto – esordisce l’attore nell’ultimo panel sul Main Stage del Best Movie Comics and Games 2024, dove ha ricevuto il Best Movie Icon Award 2024 -. Non far parte di quel cast mi avrebbe fatto arrabbiare molto, forse più di Genny, e ringrazio Stefano Sollima per avermi dato il ruolo. Ricky Gervais ci venne a trovare a Londra durante le riprese della quarta stagione, era fan della serie e ci ha scritto che gli avrebbe fatto molto piacere venire sul set. A Ischia ho incontrato anche Chris Hemsworth, il cui parrucchiere è romano, e mi ha mandato un messaggio pure Todd Phillips (il regista di Joker e Una notte da leoni, ndr), chiedendomi se potevamo prenderci un caffè».
Il provino per Gomorra è stato quasi un caso: inizialmente l’attore lavorava alla serie in veste di collaboratore, distribuendo copioni agli altri aspiranti attori e dando loro le battute da recitare. Alla fine gli autori pensarono di fargli provare la parte di Genny, e il resto è storia.
L’attore è rimasto vicino al genere anche con il suo debutto negli Stati Uniti, prestando il volto a Gaetano Fadda nelle serie Fargo, dove ha recitato insieme a star come Chris Rock e Jessie Buckley. Lo rivedremo quest’anno anche al fianco di Gerard Butler nel film Nella tana dei lupi 2, altra produzione americana, per il quale ha dovuto fare molto allenamento fisico per sparare da una macchina in movimento e non solo; in Italia, invece, tornerà sul piccolo schermo nel ruolo dello “sbirro” protagonista di Piedone, erede spirituale del celebre commissario di Bud Spencer («Sarà leggermente meno ironico, anche perché quell’ironia se la riguardi oggi è anacronistica: lui è stato il nostro primo supereroe, ma fatte da me certe cose non sarebbero state credibili, il regista Alessio Maria Federici e la produzione hanno dovuto trovare una chiave per rendere le botte credibili»).
«Fargo l’abbiamo girata a Chicago, che è una città bellissima che consiglio a tutti. Purtroppo non ho potuto vivere la parte mediatica di presentazioni, interviste e giro del mondo a causa della pandemia, sarebbe stata comunque un’opportunità per farmi conoscere. Fa parte del mestiere e del gioco raccontarsi, se non vuoi esporti o stare sui social non sei nell’epoca moderna: le produzioni internazionali ormai guardano anche quei numeri. Se non esisti da nessuna parte non è sempre detto che sei Daniel Day-Lewis e se non lo sei è un problema».
«Sono sempre uno che cerca di togliersi i pesi di dosso, i limiti che noi tutti abbiamo e diffido sempre di chi dice che non si rivede nei film, perché solo rivedendoti puoi capire cosa hai fatto, cosa hai sbagliato, cosa puoi migliorare e fare meglio – prosegue -. All’estero cercano ancora molto lo stereotipo dell’italiano e ci fanno parlare in un modo ormai desueto, che non esiste più: condivido in questo senso il discorso che aveva fatto Pierfrancesco Favino su Ferrari».
A coronamento del sogno americano di Esposito, anche l’incontro con Steven Spielberg: «In una parte laterale degli Studios Universal c’è la Dreamworks, quando arrivo entro in questo posto bellissimo dove ci sono una pagoda e una reception con quattro segretarie e trovo due colonnine con gli Oscar che ha vinto la Dreamworks, non si potevano fare foto ma sono rimasto cinque minuti a fissarli. Poi è arrivato Spielberg e mi ha fatto i complimenti per Gomorra, dicendo che che avevo fatto un buon lavoro, che tutti ne parlavano, che aveva visto qualcosa e doveva finire di vederla».
Infine, una parola su Marco D’Amore e sulla sua carriera letteraria: «Lui è un fratello, una persona su cui conto molto, e lui sa che è lo stesso per me. Marco si è buttato più sulla regia, io più sulla scrittura, quest’anno uscirà il terzo romanzo della trilogia dello Sciamano. Vivere da solo 7 mesi a Chicago per girare Fargo mi ha lasciato tanti momenti vuoti per scrivere. L’idea dello sciamano è quella di un profiler nato a Benevento e che riesce a vedere cose che altri non vedono. Il riscontro di pubblico che ha avuto è stata una sorpresa per me».
Infine, una battuta conclusiva: «Cosa direi al Salvatore di dieci anni fa che iniziava l’avventura di Gomorra? “Sta’ senza pensier“».
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