Saga travagliata quella di Terminator, passata dai fasti dei due episodi originali firmati da Cameron e approdata ai ne-fasti Macchine ribelli e Salvation che hanno fatto disamorare i fan. Una deriva che era molto evidente ai nuovi produttori che hanno deciso di ancorarsi strettamente ai capitoli cameroniani – pur se rebootizzandoli – per poter dar vita a una nuova saga sci-fi che fosse comunque connessa allo spirito dei prototipi.
I protagonisti tornano dunque sulla vecchia scena, per cancellare i guasti dei sequel 3 e 4 e imporre nuovi volti (la Regina dei draghi Emilia Clarke nei panni di Sarah Connor, l’“Insurgent” Jay Courtney in quelli di Kyle Reese e Jason Clarke nelle vesti di John Connor), sostituendoli a quelli dell’immaginario precedente. Come i fan della saga sci-fi ricorderanno bene, siamo nel 2029 D.C. e John Connor è a capo della resistenza umana contro le macchine. All’offensiva su Los Angeles John viene informato che Skynet, la rete senziente che governa i robot e vuole distruggere l’uomo, attaccherà parallelamente su due fronti – passato e futuro – per vincere la guerra. Per poter impedire che questo accada, John manda il suo fido luogotenente, Reese, indietro nel tempo per salvare sua madre e garantire la propria esistenza. Esattamente come avveniva nel cult del 1984, il cui inizio viene ricostruito inquadratura per inquadratura. Ma quando Kyle giungerà nel passato – e qui prende il via la torsione drammaturgica (ampiamente spoilerata dal trailer) – scoprirà che è totalmente mutato, perché alcuni avvenimenti hanno creato una frattura temporale.
In questa differente dimensione un terminator era stato mandato indietro per uccidere Sarah Connor bambina e così la resistenza aveva mandato un proprio cyborg per proteggerla. Quindi, dopo che i suoi genitori erano stati uccisi dal cyborg cattivo, il T-800 riprogrammato – uno Schwarzy incanutito con giubbino di pelle e mitra sempre alla mano – l’aveva cresciuta e addestrata per affrontare il suo destino, trasformandola in una cazzutissima guerriera. Come se non bastasse, Kyle, Sarah e il vecchio Terminator ora alleato devono vedersela con il T-800 vecchia maniera, con il più avanzato T-1000, ma soprattutto con un nuovo micidiale nemico: lo stesso John Connor, che è stato trasformato da Skynet in un T-3000, ibrido umano-cyborg nanotecnologico, twist purtroppo quasi subito svelato dai promo.
Inutile tentare di far quadrare i paradossi scaturiti dalla collisione di timeline diverse che fanno quasi implodere la trama (e la testa, che viene catapultata dal 2029 al 1984, per poi rimbalzare al 1997 e da lì al 2017), per godersi questo blockbuster estivo, che non riuscendo a far quagliare tutti i dettagli, sconfina nella soap opera: madri che incontrano figli più grandi, figli cresciuti che incontrano le proprie versioni bambine, promessi amanti già pronti ad accoppiarsi per non sovvertire gli eventi futuri. Inutile anche ricercarvi le preoccupazioni morali dei suoi predecessori, ma puntare a godersi un film di intrattenimento tout court che guarda fisso all’esempio dei cinecomic Marvel. Esplosioni comprese.
Se Rise of the Machines puntava tutto sull’action e Salvation si avventurava su una china più introspettiva, Genisys – oltre a scardinare la linea temporale, sceglie un taglio da action comedy che rimanda per direttissima ai superhero movie di Kevin Feige & Co., non solo per i toni e le gag, ma anche per la ripresa della formula della scena post-credit così usuale nei prodotti che portano il marchio della Casa delle idee.
La comicità è affidata soprattutto al vecchio Arnie, molto buffo nel contrasto tra la sua implacabilità robotica e i tentativi di “socializzazione” e “umanizzazione” forzati, dando vita a siparietti che sfruttano il suo inesauribile charme da veterano. Nonostante i 67 anni suonati, è infatti la presenza scenica più forte di questo reboot, a discapito dei giovani comprimari ancora troppo acerbi (Emilia Clarke e Jay Courtney), mentre Jason Clarke con quella faccia così atipica e interessante quanto meno se la gioca.
Schwarzy, “corpo nostalgico” interpolato grazie alle magie del digitale, offre il meglio nella scena in cui combatte contro il se stesso giovane, offrendoci la chiave di lettura più adatta a interpretare il film. Anche nel ripetere spesso la line: «Sono vecchio, ma non obsoleto», ci invita a guardare avanti e a non voltarci indietro, in modo da poterci godere le esplosioni e le gag senza troppi sensi di colpa o rimpianti. Il passaggio alla versione 2.0 è stato attuato e il sequel programmato già suggerito nella scena dei crediti. Per qualcosa di completamente diverso e più drammatico dovremo aspettare almeno fino al 2019, quando Cameron rientrerà in possesso dei diritti della sua creatura. Hasta la vista, baby!
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