Se amate Law & Order e i legal drama che sanno coniugare tensione, dibattiti morali e casi avvincenti, allora c’è una serie che merita di essere riscoperta. Pur essendo meno nota rispetto ai grandi titoli del genere, ha lasciato un segno indelebile nella rappresentazione della giustizia in TV, affrontando temi complessi con un realismo sorprendente. Un vero gioiello sottovalutato, capace di anticipare molte delle caratteristiche che oggi rendono Law & Order così iconico.
Il diritto non è pensato per intrattenere. È lento, dominato da procedure e documenti più che da arringhe appassionate. Nella realtà, i processi durano mesi, se non anni, con più tempo speso tra mozioni e negoziazioni preliminari che in drammatici interrogatori o confessioni dell’ultimo minuto. Il sistema legale è complesso, frustrante e carico di ambiguità morali, ma la televisione ha sempre cercato di trasformarlo in qualcosa di più accessibile, condensando la giustizia in 42 minuti, intervallati da spot pubblicitari.
I legal drama nascono proprio da questa tensione tra realismo e intrattenimento, tra la legge per come funziona e la legge per come vorremmo che funzionasse. I migliori riescono a rendere la giustizia avvincente senza sacrificare le contraddizioni e l’umanità del sistema legale. Alcuni puntano sull’intelligenza e la brillantezza degli avvocati (Perry Mason), altri ne fanno un contesto per storie eccentriche (Ally McBeal), mentre alcuni trasformano i tribunali in satire affilate. Ma ciò che resta impresso non è solo la capacità di rendere coinvolgenti i processi, bensì il modo in cui questi show riflettono le mutevoli concezioni della giustizia, del potere e di chi ha il diritto di aver ragione.
Tra le serie che meglio incarnano questa visione c’è The Defenders (1961-1965), un legal drama che ha avuto il coraggio di trattare il diritto non solo come intrattenimento, ma come strumento per affrontare le questioni morali ed etiche del tempo. Protagonisti sono E.G. Marshall e Robert Reed nei panni di Lawrence e Kenneth Preston, un duo di avvocati difensori, padre e figlio, impegnati in casi che andavano ben oltre i classici gialli giudiziari. La serie ha affrontato di petto temi considerati tabù negli anni ’60, come i diritti civili, l’aborto, i crimini di guerra e la pena di morte, ponendo interrogativi che la televisione mainstream, allora, evitava accuratamente di proporre.
Diversamente da molti altri legal drama dell’epoca, The Defenders non ha mai offerto risposte semplici né una visione manichea della giustizia, anzi: riconosceva che ciò che è legale non sempre coincide con ciò che è giusto e che la legge andava messa in discussione. In un periodo di profondi cambiamenti sociali e politici negli Stati Uniti, questa serie si è distinta per il coraggio di sollevare domande scomode, diventando una delle produzioni più rivoluzionarie del suo tempo.
La sua eredità è innegabile: senza The Defenders, non esisterebbero Law & Order, The Practice o Boston Legal. In un momento in cui il pubblico aveva bisogno di riflettere sulla giustizia, la serie ha ricordato che non basta avere fede nel sistema: serve anche il coraggio di sfidarlo.
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Fonte: MovieWeb
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