Da un lato un principe del foro rispettabile e venerato, che dietro le apparenze irreprensibili cela un sottobosco inquietante di reati, sotterfugi, amanti e illeciti. Dall’altro il suo giovane assistente universitario, tuttofare senza orari, faccendiere schiavizzato e, alla bisogna, addirittura cuoco personale: è questo il rapporto maestro -allievo, dai tratti perfino mostruosi, al centro de Il tuttofare (qui la nostra recensione), esordio alla regia di Valerio Attanasio, sceneggiatore del primo Smetto quando voglio, in arrivo nelle sale italiane il 19 Aprile.
Il barone universitario della giurisprudenza è Salvatore “Toti” Bellastella e gli presta corpo e voce Sergio Castellitto, uno degli attori del nostro cinema più affascinato dalla deformità e dal grottesco. Il povero servo di turno, invece, è Antonio Bonocore, interpretato dal lanciato Guglielmo Poggi, giovane attore di scuola Centro Sperimentale che si è già ritrovato sui set di Gabriele Muccino e Ridley Scott, lavorato con Gigi Proietti a teatro in Romeo e Giulietta nei panni di Benvolio e interpretato lo stridulo Maurizio, studente restio a pagare il Pietro Zinni di Edoardo Leo proprio in Smetto quando voglio.
Nel raccontarci la sua opera prima in un albergo romano del centro, Attanasio ci tiene a sottolineare fin da subito quanto questo film nasca dalla realtà di esperienze toccate con mano, citazioni (letterali) di Intrigo internazionale di Alfred Hithcock e di tanti altri film comprese: «Ho raccontato cose che conosco, che ho vissuto in prima persona o che ho sentito da parte di amici e conoscenti. Il ricatto al centro del film, quello attraverso cui Bellastella chiede ad Antonio di farle sposare la sua amante argentina per farle avere la cittadinanza italiana, è successo a una persona di mia conoscenza: c’era il capo di una catena di negozi che voleva dare la propria fiamma a un ragazzo suo dipendente, per ragioni analoghe».
Sergio Castellitto, che raggiunge i presenti leggermente in ritardo a causa di un’altra intervista entrando in stanza teatralmente («Una volta si applaudiva!», è la sua chiosa ironica) è invece rilassato e sornione nelle risposte, cimentandosi in argomentazioni che vanno ben oltre la descrizione e la presentazione del suo personaggio: «Un attore bravo? Direi che essenzialmente è un buon avvocato del suo personaggio. Non lo giudica se è buono, cattivo, stronzo, come fanno gli avvocati che difendono anche coloro di cui sospettano la colpevolezza. Questo personaggio mi ha permesso di lavorare in maniera gaglioffa sulle incrinature, dopotutto un attore non è mai spontaneo, né vero, ma è colui che non ti fa sentire una costruzione che pure è molto fitta. Un bravo regista invece è chi ti dà una gabbia ben costruita ma con un guinzaglio lungo per divincolarti, come ha fatto Valerio in questo caso, ma essenzialmente anche un buon assemblatore».
«Ancor più liberatorio e riposante – continua l’attore – è mettersi dentro un progetto che viene costruito su misura da altri e portare dentro la tua esperienza: un attore cresce se rimane studente, se da qualche parte mantiene per sé sempre il vincolo di inciampare. In fondo, la cosa più bella che succede al cinema e al teatro è il vuoto di memoria, quando ammazzi l’automatismo, quando la moglie ridiventa amante. Ovviamente in questo film omaggio anche coloro che mi hanno insegnato moltissimo, Sordi, Gassman, Ferreri, Scola, Mastroianni. Sordi si considerava un narratore un gran narratore coi suoi ruoli, Mastroianni scriveva, letteralmente, coi suoi silenzi, mentre gli sceneggiatori di una volta si guardavano intorno, tra la gente, perché solo così potevano poi deformare».
Sulla situazione dell’Italia attuale e sulla disperazione di una generazione senza certezze, Castellitto preferisce non esprimersi direttamente, ma si concede una battuta politica direttamente legata al film, che probabilmente vuole essere una stoccata contro il turbinio pressappochista di questi tempi in cui l’ideologia è costantemente sbriciolata e ridiscussa:: «La sintesi più efficace mi sembra questa: Antonio Bonocore all’inizio del film parte votando PD, al centro film vota Forza Italia e alla fine Cinque Stelle!», e non potrebbe davvero esserci sintesi più eloquente.
Elena Sofia Ricci interpreta invece la moglie di Bellastella, Titti Mandorlini, una donna potente e danarosa, che tutela a distanza sugli affari loschi del marito – naturalmente amanti a parte – ed è anche l’unica persona di cui Toti abbia veramente timore: «Sono malata di onestà e noiosissima nella vita vera – dichiara l’attrice – e fare questo personaggio così estremo, senza possibilità altra se non essere una iena, è stato bellissimo. Mi fa piacere quando i giovani mi considerano nelle loro idee, perché io mi sento una ventenne. Con Sergio non c’eravamo mai trovati (“A parte un’esperienza imbarazzante!”, precisa subito Castellitto), è stato un piacere poter finalmente collaborare con lui».
«Trovo che in questo momento del paese, per fare un lavoro servano più talenti e bisogna saper fare surf tra le cose – ha aggiunto l’attrice a proposito del precariato – in questo Occidente difficile avere dei sogni è già tanto, c’è continuamente il pericolo di cadere e occorre sviluppare delle attitudini che non siano per forza sinonimo di compromesso, ma semplicemente del sapersi un po’ muovere». Il giovane Poggi la butta, infine, sulla buona sorte: «Io ho avuto solo fortuna finora e ho imparato che quando accadono delle piccole cose che sembrano darti fastidio dietro di esse, in realtà, spesso si aprono delle enormi porte. Con Valerio dopo Smetto quando voglio ci eravamo persi di vista, per fortuna che ci siamo ritrovati!».
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