Elia (Sergio Rubini), ultimo abitante di Provvidenza, paese distrutto da un terremoto, rifiuta di adeguarsi al resto della comunità che, trasferendosi a “Nuova Provvidenza”, ha preferito dimenticare. Per Elia, invece, il suo paese vive ancora e, grazie all’aiuto del suo vecchio amico Gesualdo (Dino Abbrescia), cerca di tenerne vivo il ricordo.
Quando il Sindaco gli intima di abbandonare Provvidenza, Elia sembrerebbe quasi convincersi a lasciare tutto, se non cominciasse, d’un tratto, ad avvertire una strana presenza. In realtà, a nascondersi tra le macerie della scuola, dove durante il terremoto perse la vita sua moglie, è Noor. Lei è una giovane donna in fuga e sarà questo incontro, insieme al desiderio di continuare a custodire la memoria di Provvidenza, a mettere Elia di fronte a un’inesorabile scelta.
Parla di tutto ciò, stando alla sinossi ufficiale, Il bene mio, nuovo film di Pippo Mezzapesa passato quest’oggi alle Giornate degli Autori (qui la nostra recensione): un film commosso, piccolo ma dal cuore generoso e soprattutto mai retorico, incentrato sul concetto di Resistenza tra le macerie e sui fantasmi, dolorosi, stritolanti, che essa porta con sé, oltre all’umanità che ne deriva.
Nella Villa degli Autori del Lido abbiamo fatto quattro chiacchiere col regista e col protagonista Sergio Rubini, che regala una delle migliori interpretazioni di tutta la sua carriera nei panni di Elia. Ecco, per punti, cosa ci hanno raccontato.
PIPPO MEZZAPESA
L’idea
L’idea nasce da una fascinazione che ho sempre avuto per i paesi fantasma. Mi ha sempre affascinato quello che rimane di questi luoghi e abbiamo deciso, io con gli sceneggiatori, di raccontare l’ultimo rimasto, l’ultimo abitante di un posto del genere. Ma anche la comunità che ha perso la memoria, che ha preferito andar via, attraverso lo sguardo di chi è rimasto fortemente ancorato a quella memoria e vuole riportare la vita attraverso le strade senz’anima del suo paese.
L’esorcismo del dolore
Ogni membro della comunità è qualcuno che ha il suo motivo o per andare o per rimanere ancorato alla memoria di cui parlo. Elia è un personaggio che con il suo sacrificio e il suo amore mette insieme una comunità che si è dissolta per un esorcismo diretto del dolore. Mortacci di Sergio Citti, che può venire in mente, l’ha fatto Sergio, rimanendo ancorati a un film su questo tema di cui abbiamo parlato sul set. Elia non riesce a sorpassare la sua soglia del dolore: Provvidenza, suo paese natale, per lui rimane un limbo. Questa ricostituzione di una comunità possibile è l’unico modo per Elia per andare avanti. La sua solitudine viene invasa così dall’eco del mondo.
Confini
Credo si tratta di un film di confini, anche: quello della memoria, quello del paese che non riesce a superare e che altri varcano con così tanta difficoltà. Elia vuole varcare questo confine, soprattutto quelli psicologici e fisici che si è posto. Per me è la guida vera di questa comunità, voglio vederci un leader, che riesce con la sua lotta a dare luce a questa comunità che ha perso la sua luce. Provvidenza fa riferimento a ordine superiore che si è scagliata contro questa comunità e l’ha dilaniata, rendendola una comunità sbandata. Solo un sacrificio vitalistico può dare una nuova strada.
Le location
Abbiamo girato tra Apice, paese realmente fantasma in provincia di Benevento, e Gravina di Puglia, in provincia di Bari.
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SERGIO RUBINI
Il mestiere dell’attore
Il lavoro dell’attore per me è centripeto, non centrifugo. Cerco guardare dentro di me, sintonizzandomi con la sensibilità del regista. Mi piace anche Pippo, conosco i suoi corti e il suo mondo. Parla di un terremoto ma non è drammatico, ha un regista delicato, ironico, carezzevole, applicato a un film così drammatico. Elia non è un eremita, non è mai triste, è vitale, pugnace, un combattente. Ha un passato e senza passato siamo tutti morti. Lui è così vivo che fa sempre morti tutti gli altri.
Il corpo al lavoro
Io ho fatto un lavoro fisico su questo personaggio, correvo tantissimo. La mia preoccupazione era che il personaggio fosse tonico. Un personaggio che non parla più, non si muove, non sgomita si ammoscia, noi invece volevamo che fosse all’opposto. Quando ero ragazzino e feci Mortacci Gassman mi disse: un attore è un atleta. Quando sono entrato in una scuola di recitazione a 18 anni mi hanno tolto tutti gli accenti e pensavo mi stessero togliendo la vita, quindi negli anni ho provato a recuperare tutto. Poi io ho letto Proust e so che gli spazi più geografici sono della mente: il mio luogo natale non l’ho né rimosso né abbandonato.
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