Il Jim Moriarty visto in Sherlock è senza dubbio tra dei migliori villain televisivi degli anni 2000. Noto come il più grande ed iconico avversario del celebre detective, Moriarty non ne ha solo sfidato l’intelletto, ma ha sempre rappresentato l’antitesi morale di tutto ciò che Sherlock Holmes rappresenta. La nuova incarnazione del personaggio, interpretato da Andrew Scott, ha tuttavia portato l’iconico “Napoleone del crimine” verso un nuovo livello di complessità.
Infondendo al personaggio un imprevedibile mix di energia maniacale e calcolata freddezza, Scott ha aggiunto vari strati alla caratterizzazione di Moriarty, tra cui un contorto sense of humor, contribuendo così a renderlo di fatto ancora più accattivante. Per tutte queste ragioni, il suicidio commesso dal personaggio nel climax del terzo episodio della seconda stagione, “Le cascate di Reichenbach“, è stato un duro colpo per tutti i fan della serie. Ma quali elementi hanno spinto Moriarty a non vedere altra soluzione se non uccidersi? Facciamo un passo indietro.
Sherlock e Moriarty si trovano per la resa dei conti sul tetto del St. Bartholomew Hospital di Londra, dopo che l’ineffabile signore del crimine ha meticolosamente messo in piedi un piano che dipinge Sherlock come un truffatore, rivoltando contro di esso pubblico, stampa e polizia. L’incontro tra i due mette così a nudo tutta l’ossessione che nutrono reciprocamente l’uno verso l’altro, confrontandosi in un affilato duello psicologico.
Moriarty spiega che degli assassini uccideranno John, Mrs. Hudson e Lestrade se Sherlock non si suiciderà, confermando così la falsa storia dell’impostore. Dopo una conversazione in cui Moriarty si rende conto che Sherlock è molto simile a lui, e che potrebbe trovare il codice per fermare gli assassini, Moriarty si spara, togliendogli così tale possibilità. Sherlock, sul bordo del cornicione, chiama al telefono John e gli “confessa” di essere un bugiardo e di aver in realtà architettato tutto, dai casi investigativi alle proprie abilità, per poi buttarsi dal tetto dell’ospedale.
Con questo suo ultimo gesto Moriarty crede di aver indirettamente assicurato la morte di Sherlock Holmes, o per mano dei suoi cecchini che tenevano sotto tiro agli amici più stretti del detective o spingendo Sherlock a saltare dall’edificio, come poi si è verificato. Il suicidio di Moriarty potrebbe tuttavia essere considerato come un vero e proprio “ultimo fine” inseguito dallo stesso Sherlock, il quale a quel punto della storia – a differenza della prima stagione – ha ormai realizzato di essere vulnerabile a causa del suo aver stretto dei legami affettivi ed essendo inoltre essere disposto a tutto per proteggerli.
Preso atto della situazione di stallo creatasi con la sua arcinemesi, Sherlock comprende come non esista uno scenario in cui possano uscirne vivi entrambi. L’intero piano di Sherlock, tuttavia, non avrebbe potuto funzionare con Moriarty ancora vivo. Sherlock, infatti, non potrebbe fingere con successo la sua stessa morte poiché Moriarty inevitabilmente lo saprebbe. Se invece Moriarty fosse stato ancora vivo, Sherlock sarebbe stato costretto a suicidarsi sul serio. Tutto questo ha portato il detective ad una sola soluzione: l’unico modo per mettere fuori gioco Moriarty è quello di indurlo al suicidio.
C’è inoltre da considerare come, fin dalle sue prime apparizioni, Jim Moriarty mostri una certa attrazione verso l’idea di uccidersi. Il villain vive infatti un’esistenza noiosa senza stimoli e grandi emozioni a causa della sua intelligenza fuori scala, che – unitamente alla sua incapacità di provare empatia – l’ha spinto a dilettarsi nel creare una intricatissima rete criminale. In questa esistenza frustrante, Sherlock Holmes diventa l’unico fattore di vero interesse per Moriarty, nonché l’unico stimolo che possa spingerlo a mettersi alla prova, considerandolo inoltre come il suo “premio” finale.
Sherlock sembra quindi comprendere che, dal punto di vista di Moriarty, una volta eliminato il detective lui non avrà più alcun reale motivo per vivere. Il detective, dal canto suo, sa bene cosa voglia dire provare sulla propria pelle la noia dell’esistenza, e alcuni indizi sparsi nella serie – tra cui la presenza nella sua libreria di un volume sulla prevenzione del suicidio – spingono a pensare che sapesse bene quali tasti premere per spingere Moriarty all’estremo gesto.
Sherlock dà quindi a Moriarty l’ultima cosa che vuole. L’unica cosa rimasta nel suo mondo che gli regalo un brivido di eccitazione: la propria sconfitta. Il detective cede alla macchinazione e si lascia andare alle conseguenze del complotto, lasciando di fatto vincere Moriarty. In questo modo regala a quest’ultimo ciò che ha sempre sognato, ovvero battere Sherlock sul terreno dell’intelligenza. Fattore che ironicamente sarà la chiave di Sherlock per sfuggire alla morte.
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