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Silvia D’Amico: abbiamo intervistato la protagonista de L’invenzione di noi due

La star della love story del weekend ci racconta la sua seconda collaborazione con Corrado Ceron e il fare cinema romantico al giorno d'oggi

Silvia D’Amico: abbiamo intervistato la protagonista de L’invenzione di noi due

La star della love story del weekend ci racconta la sua seconda collaborazione con Corrado Ceron e il fare cinema romantico al giorno d'oggi

In occasione dell’uscita nelle sale de L’invenzione di noi due, abbiamo scambiato una lunga chiacchierata con Silvia D’Amico, protagonista del film romantico tratto dal romanzo omonimo di Matteo Bussola, al fianco di Lino Guanciale. Tra progetti seriali di primo livello e lungometraggi al cinema, Silvia si sta ritagliando un proprio spazio tra i volti femminili del cinema italiano contemporaneo, soprattutto grazie alla sua versatilità. Tra le sue prove più notevoli, è stata la spalla femminile in Non essere cattivo di Claudio Caligari, al fianco di Alessandro Borghi e Luca Marinelli, ha recitato in The Place di Paolo Genovese, nella serie tv A casa tutti bene di Gabriele Muccino e in Christian, tra i progetti seriali di maggior successo targati Sky.

Ne L’invenzione di noi due, Silvia D’Amico interpreta Nadia, sposata da 15 anni con Milo (Lino Guanciale), ma non più così felice all’interno di questa relazione. Sembra che non lo desideri più: non lo guarda, non lo ascolta e non condivide quasi nulla con lui. Tuttavia, Milo non si arrende e un giorno decide di scriverle fingendosi un’altra persona, dando così inizio a una corrispondenza segreta. Attraverso quelle lettere, sempre più frequenti e intense, entrambi si rivelano come mai prima.

Ecco come ci ha raccontato il suo nuovo film, il fare cinema romantico al giorno d’oggi e la ricerca del giusto equilibrio con il partner sulla scena per raccontare momenti di vita quotidiana anche sfruttando formule inedite.

Avevi già lavorato con Corrado in Acqua e anice (2022), come si è evoluto il vostro rapporto sul set e nella vita?

«Lavorare con un regista che già conosci è un bel privilegio, perchè hai già abbattuto quel muro di formalità che c’è magari all’inizio. Abbiamo saputo molto tempo prima di cominciare che avremmo lavorato insieme a questo progetto: ci siamo presi per mano e ci siamo detti: “Adesso ci buttiamo”. Ci siamo lanciati con molto più coraggio rispetto alle scorse volte. Corrado ha usato un linguaggio visivo molto più ricercato rispetto alla prima esperienza, da cui anche io mi sono lasciata guidare. Abbiamo usato elementi narrativi nuovi come la SnorriCam… Come attrice mi sono sentita anche più libera di proporre e di rischiare».

Conoscevi già il libro di Matteo Bussola prima della produione? Qual è stato il tuo approccio rispetto al personaggio tratteggiato su carta?

«Non conoscevo il libro, l’ho letto ovviamente prima ancora della sceneggiatura. Quando c’è un precedente, ti devi confrontare con un ampio pubblico che magari ha delle esigenze. Questa volta, il tipo di lavoro letterario di Bussola ci ha ispirato e guidato verso il percorso che avremmo dovuto intraprendere e un linguaggio preciso. L’invenzione di noi due non è un film canonico e letterale, non ha una sola linea narrativa, non ha una sola interpretazione di chi lo guarda. Da parte nostra, dovevamo essere molti abili a gettarci in un momento preciso della storia, magari a dire semplicemente quelle due battute, ma sapere che eravamo esattamente in quel momento e che dovevamo essere efficaci dicendo anche delle parole molto quotidiane, delle frasi molto semplici di tutti i giorni. Non tutte le scene hanno un inizio e una fine nel film, lavora molto per spot, per suggestioni, per un attore delle volte fare un percorso così è molto più difficile che fare una scena che ha un arco di svolgimento e un finale. 

La storia di Nadia e Milo è un passo a due sulle note della quotidianità: come hai lavorato con Lino e come avete trovato il giusto equilibrio per restituire quegli attimi di vita in cui alla fine ci possiamo ritrovare tutti?

«Avere accanto una persona oltre che un attore come Lino, che si è veramente spogliato di tutto, lui è un personaggio molto popolare, invece si è rapportato a questo tipo di progetto, che ha dei tratti anche un po’ sperimentali, come una persona che ha voglia di mettersi alla prova e di scoprire un nuovo linguaggio, come se fosse la ricerca di una nuova lingua, sia per noi che per chi lo guarda. E’ una bella sfida, non ci si trova di fronte alla storiella già confezionata. è stato un percorso inedito sia per me che per Lino, e ogni giorno ci siamo molto confrontati e spalleggiati, sia prima ogni giorno di cominciare a lavorare che dopo. è molto bello trovare un compagno d’avventura così perchè ti ci specchi, anche nei nostri cambiamenti nel corso del tempo, ci aiutava molto. inoltre secondo me un lavoro magistrale che ha fatto lino su questo tipo di maschile è unico nel suo genere, solamente un attore così intelligente e sensibile sarebbe riuscito a farlo in questa maniera. ho scoperto un attore che esce dai clichè del nazional popolare ed è bello che il pubblico lo veda anche in altre cose perchè è un grande attore».

A proposito del personaggio di Milo, potremmo dire che incarna un’idea di maschile molto contemporanea: più fragile, più sensibile, che mette in crisi la concezione del maschio forte e risoluto del cinema classico. Quanto pensi che il cinema – soprattutto italiano – abbia bisogno di un lavoro del genere sul personaggio?

«Per me l’aspetto vincente di questo tipo di lavoro, del ribaltamento del maschile, non è tanto che sia il punto di partenza, perchè pensa che per noi non lo è mai stato: non ci abbiamo mai riflettuto mentre lo giravamo, è un’osservazione che è arrivata dopo, a film finito. Su questo dovrebbe basarsi una nuova concezione di cinema che verrà: questo tipo di figura deve diventare naturale, non deve essere il pretesto per raccontare un certo tipo di storiab: è naturale che sia così, quel tipo di uomo esiste e noi non dobbiamo pensare che sia una cosa speciale. Certo, è anche un bel messaggio, non solo per gli uomini che devono sapere che quel tipo di maschile può esistere e mostrarsi sena vergogna, ma anche per noi donne che siamo un po’ abituate, forse per retaggi culturali e fascinazione, alla ricerca del maschio alfa, autonomo, indipendente, che dice di no, sempre rigoroso e così tanto virile. Dobbiamo un po’ disabituarci a quel tipo di clichè, senza però cadere in un altro tranello: quello della rappresentaizone dell’uomo ferito, che si tiene da parte. La cosa che ho trovato interessante di questo progetto è proprio che le figure potevano essere interscambiabili: avremmo potuto fare due film, in cui io interpreto la parte di Milo e Milo la mia. Per come si presenta, proprio perchè una storia d’amore è fruibile per tutti, anche per il battage pubblicitario che stanno facendo, l’aver scelto la città dell’amore, ha tutto l’aspetto di un film per l’ampio pubblico. Dentro, però, ci trovi anche questa riflessione importante, che è sottile, non manifesta, ma più forte proprio in virtù di questa modalità espositiva».

Per una particolare coincidenza, il vostro film esce a distanza di pochi giorni da una data simbolo per gli amanti delle storie d’amore, nei libri e al cinema: il 15 luglio è l’anniversario dell’incontro di Emma e Dexter, i protagonisti di One Day. Una struggente love story che, dopo il film di successo del 2011, è stata rilanciata in formato seriale su Netflix. Ci sono diverse analogie narrative con L’invenzione di noi due e credo sia molto coraggioso portare al cinema una storia d’amore che si sviluppa su più livelli e piani temporali – sperimentando anche dal punto di vista formale – in un’epoca in cui le love story sembrano quasi prestarsi meglio al formato seriale, proprio perchè permette di dilatare il tempo del racconto. Sei d’accordo?

«Totalmente. Trovo che anche in questo L’invenzione di noi due sia un film importante: suo malgrado – anche non volendo esserlo – è un film manifesto. In un momento di forte crisi per l’industria come questo un messaggio importantissimo da lanciare è proprio quello di tornare al cinema. Nel mio lavoro cerco sempre di alternare tra produzioni cinematografiche e seriali, perchè sono esperienze agli antipodi. Per quanto riguarda il cinema, fin da quando un progetto è in fase embrionale, è pensato per il grande schermo, sotto ogni punto di vista. Un film è destinato a rimanere, come un grande romanzo, un’opera coraggiosa, un’opera d’arte. Vale lo stesso per le serie, ma hanno un tipo di fruizione diversa, non vengono pensate con tutti quegli elementi speciali e romantici. Ecco, abbiamo tanto ironizzato sul fatto che il sottotesto di questo film è “il film più romantico dell’anno”, ma fare un film oggi è un gesto non solo romantico, è proprio il manifesto di un ideale».

Il film, come il libro, è dedicato “a chi si ama e non ricorda il perché”: tramite le diverse declinazione di femminile che hai portato al cinema e in formato seriale, hai scoperto altre ragioni per amarti?

«Assolutamente. Diverse cose che ho fatto, dato che sono un essere umano che cambia fisicamente e mentalmente, mi hanno portata a scoprire degli aspetti di me stessa e accettarli in maniera diversa. Quando ho fatto Muccino ero gìà grande, avevo 36 anni, ma non accettavo di vedermi donna, in quella forma. Quando mi ha detto “sei tu”, gli ho chieso se fosse sicuro: lui mi ha fatto capire che il ruolo era perfetto per me, che quella cosa ero io, ma io non pensavo di averla. Tanti ruoli un po’ più tormentati mi hannoinvece fatto accettare delle mie torture, delle cose più specifiche, meno canoniche, che sono diventate un valore aggiunto, la cosa che fa la differenza».

L’invenzione di noi due è al cinema dal 18 luglio: quello di Ceron è un nuovo modo di raccontare le storie d’amore, tra sperimentazione formale e narrativa, certamente inusuale per il cinema italiano e che merita la visione!

Foto: Fabrizio Cestari

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