Il secondo giorno di Best Movie Comics and Games si apre con Lloyd! O meglio, con Simone Tempia, lo scrittore italiano che ha dato vita all’amatissimo maggiordomo immaginario protagonista della sua serie di quattro libri che, tra filosofia e riflessioni, affrontano temi della vita quotidiana che riguardano tutti da vicino.
Aveva solo 14 anni quando ha capito che la sua vocazione era la scrittura. Da quel momento, ha inseguito il suo sogno ed è riuscito a realizzarlo, portando i suoi lavori sugli scaffali di tutte le librerie italiane. Tutto è iniziato con la pagina Facebook Vita con Lloyd, dove ogni giorno pubblica un dialogo tra Sir, l’uomo che pone interrogativi, ed il maggiordomo Lloyd, che suggerisce invece spunti di riflessione e soluzioni. Da lì è nata la sua serie di quattro libri, l’ultimo della quale prosegue le conversazioni tra i due dopo l’esperienza della pandemia. La sua opera più recente, Il Piero o La ricerca di una felicità, si discosta dal suo celebre personaggio e mette in scena, sempre con il suo peculiare stile, la tragicomica storia di un uomo insoddisfatto dalla vita.
Parlando proprio degli inizi, Simone Tempia ha raccontato il momento di svolta dopo 20 anni di scrittura avara di soddisfazioni: «Mi ero un po’ rassegnato al non poter far parte di questo mondo. Dopo il primo dialogo di Vita con Lyod ho capito che era la mia cosa, è scattata una scintilla: la penna se la tratti bene non ti tradisce, è un’arte». Ha iniziato poi a pubblicare con regolarità, ogni giorno su Facebook e con in piano ben preciso: «Mi sono dato 5 anni per vedere cosa sarebbe successo – ha detto al pubblico – Per il primo anno volevo arrivare a 10.000 lettori sulla pagina: sono arrivato a 20.000». Ha capito di avercela fatta «nel momento in cui la prima ristampa del libro è andata esaurita in 6 ore. Lì ho detto: ho fatto il mio».
Il successo di Vita con Llyod è stato travolgente e ha assunto una dimensione che va oltre la semplice letteratura, sfocia nello psicologico: «Settimana scorsa a Denver si è tenuto un convegno di psicologi del comportamento ed è stato presentato uno studio scientifico condotto sui miei libri: leggere Vita con Llyod a quanto pare fa stare meglio. Per molti la metafora è diventata qualcosa in cui si vedono. È una cosa terribilmente responsabilizzante. Lo hanno messo nelle sale d’attesa dei reparti oncologici, lo legge chi aspetta chi fa chemioterapia».
Ma quale è il segreto del successo dei dialoghi tra il suo alter ego e l’immaginario maggiordomo? «In quelle poche righe racconto solo di me, sono fragile e ho un emotività devastante, erutto come un vulcano. Ho deciso di raccontare quello, con ironia e un personaggio immaginario. Intorno a me tante persone apprezzavano che raccontassi qualcosa che sentivano anche loro». Una formula vincente, sostenuta da un carattere che lo spinge ad andare dritto sulla sua strada, per difendere ogni riga. Un atteggiamento che lo tiene lontano da logiche editoriali che vorrebbero spingerlo a pubblicare in serie tanti libri uguali: «Mi sono imposto di non farlo, mi sono dato un minimo di tre anni tra un libro e l’altro, voglio avere qualcosa da dire. I libri sono oggetti sacri. Sono la memoria di un popolo, togli un libro e togli la memoria di un popolo, gli togli un identità. Sono convinto che un libro debba uscire solo per colmare un vuoto preciso, narrativo».
Nonostante il successo sia nato dai social, rifiuta l’etichetta di influencer e anche in questo è simile ad un autore già passato dal Best Movie Comics and Games e dallo straordinario seguito in Italia, ovvero Zerocalcare. Stuzzicato sui punti di contatto tra i due mondi, Simone Tempia non si è tirato indietro dal paragone: «Llyod per me è come l’armadillo di Zerocalcare? Mutatis mutandis direi di sì, è una visione della coscienza un po’ diversa. Io e Michele abbiamo iniziato insieme. Siamo entrambi dell’83 e abbiamo sentito l’esigenza di trovare un’incarnazione di noi. Per me è una persona di un’integrità straordinaria. Lo stimo in maniera viscerale».
In entrambe le loro opere più famose e nell’approccio narrativo, c’è lo stesso escamotage che permette di raccontare i dolori e i problemi della loro generazione: «Funziona nel momento in cui ti guardi da fuori, quando metti in bocca a un altro soggetto quello che riguarda te stesso. Io non sono Llyod, sono una versione fuori da me che parla di me, con spietatezza. Lui e l’armadillo sono crudeli, ti vogliono bene e lo sono perché non fanno sconti. Tutti noi vorremo avere un Llyod. Non raccontiamo di noi, abbiamo fatto un passo di lato, il personaggio forte è quello immaginario, mentre noi ci presentiamo per quello che siamo, per le nostre miserie. La nostra generazione non ha avuto papà e mamme che ci potessero capire, ci siamo sentiti poco amati, questo ha creato figure di fantasia che assolvessero a quel ruolo di quotidianità, benevolenza e protezione. Siamo stati orfani della società. Non abbiamo avuto una rete di sicurezza cui aggrapparci, col sedere a terra non ti rialzava nessuno. Ci sentiamo tutti più o meno dei falliti».
Per quanto riguarda il futuro, non nasconde che nei suoi piani c’è una mossa “alla Leo Ortolani“: «Quando mi annoierò smetterò di fare Vita con Llyod, preferisco passare ad altro con meno successo ma che mi diverta di più piuttosto che crogiolarmi in una serialità che giova solo a me. Gli artisti non si preoccupano del successo che fanno».
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Foto: Marco Pasqua
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