Dai remake di What Women Want e Paranormal Activity, ai noir coreani che fanno invidia all’Occidente. E poi l’horror di Park Chan Wook girato con l’IPhone 4, il cinema erotico giapponese e i gioielli sconosciuti di Thailandia e Singapore. Questo e molto altro in programma al Far East Film Festival (29 aprile – 7 maggio 2011). Scopriamo tutti i film in arrivo dall’Oriente con questo speciale viaggio nel cinema asiatico.
C’è chi sostiene che oggi il miglior cinema di genere si faccia in Francia e chi ritiene la produzione americana ancora imbattibile. Ci sono gli inguaribili amanti del J-Horror e i cinefili che puntano orgogliosi il dito su cinematografie in spolvero come quelle del Nord Europa. Ma se mettiamo sulla bilancia quantità, qualità e originalità delle soluzioni di sceneggiatura, è difficile trovare una nazione la cui produzione di cinema di genere sia oggi paragonabile alla Corea del Sud, per lo meno osservando il panorama con l’ottica e la sensibilità di un occidentale. Non solo: in Corea il sistema produttivo consente l’esistenza di una autorialità “fluida”, che molto spesso trova consistenza e credibilità all’interno del genere stesso, sfondando le mura di ingresso dei più importanti Festival internazionali senza derogare alla propria vocazione spettacolare e alla atavica passione per il grottesco. Momentaneamente parcheggiati gli ultimi capolavori di Bong Joon-ho (Mother) e Kim Ji-won (I saw the devil), perfettamente pertinenti all’introduzione, al Far East Film Festival 2011 si vedrà Nightfishing, il nuovo horror di Park Chan-Wook, un mediometraggio interamente girato con l’iPhone, che racconta di un uomo che trova il cadavere di una donna in riva al mare. Cadavere che ben presto si rivelerà fin troppo vivace. Ma se l’autore di Old Boy rappresenta ormai da anni l’eccellenza riconosciuta e la punta dell’iceberg della produzione coreana, altri titoli in programma a Udine consentono di farsi un’idea precisa dello stato dell’arte nella penisola. Per esempio l’accoppiata di polizieschi The Unjust (nella foto) e Troubleshooter, griffata dallo specialista Ryoo Seung-wan (Crying Fist, The City of Violence), regista del primo e produttore del secondo. Prodotti solidi come roccia, che si prendono due ore buone per non rinunciare né al tratteggio dei personaggi (il buon cinema coreano è sempre, prima di tutto, cinema d’attori) né ai combattimenti corpo a corpo, coreografati con la stessa amorevole attenzione dei dialoghi. Ed entrambi puntano il dito sulle trame della corruzione pubblica, affondando il dito nella piaga della mafia degli appalti immobiliari (The Unjust) e in quella degli accordi elettorali sottobanco (Troubleshooter), chiamando a rimorchio in entrambi i casi poliziotti e procuratori distrettuali vendutisi al miglior offerente. Secondo uno sguardo che è sempre consapevolmente morale. Altro giro, altro regalo: a Udine ci sarà anche il noir neoclassico The Man From Nowhere di Lee Jeong-beom, clamoroso successo di botteghino in patria e già stravenduto per l’home video in tutto il mondo. Fortemente debitore al romanticismo disperato di Kim Ji-won (pensiamo soprattutto a Bittersweet Life), racconta il percorso di rinascita di un ex-agente dei corpi speciali che ha perduto la moglie, attraverso l’amicizia con una bambina vessata dal destino. Sullo sfondo, l’orrore del mercato clandestino degli organi. Al punto di congiunzione tra thriller e horror, secondo convenzioni decisamente più sanguinarie rispetto ai titoli citati sinora, c’è Bedevilled, dramma angosciante come pochi su una micro-comunità patriarcale e ultra-maschilista che abita una piccola isola, in cui si venera il vigore del maschio e la donna è oggetto di disprezzo e abuso sistematici. Quando arriverà il tempo della ribellione, sarà feroce ai limiti del sostenibile. In pratica un rape and revenge, in cui però l’elemento exploitation è strettamente funzionale all’istantanea sociale e al suo intento politico. E infine, per chiudere la panoramica allargando la prospettiva a un genere per cui la Corea è meno nota sul piano internazionale, citiamo volentieri Cyrano Agency, deliziosa rilettura moderna del classico di Rostand, in cui una squattrinata compagnia di teatranti si ricicla come ufficio di supporto per innamorati imbranati, fornendo costumi, dialoghi e scenografie per il corteggiamento, proprio come si trattasse di una recita. Un prodotto popolare, ma che non intende mai la propria vocazione come scorciatoia per la superficialità, ed invece investe tutto in un romanticismo sofisticato, sincero e un po’ buffo.
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