Dopo la trilogia di Matrix, lo psichedelico Speed Racer e il filosofico Cloud Atlas i fratelli Wachowski tornano ancora alla fantascienza, ma questa volta in forma seriale grazie a Netflix, la piattaforma online che ha sfornato eccellenti prodotti come House of Cards e Daredevil. E che dal 5 giugno ha reso disponibile per i suoi clienti tutta la prima stagione di Sense8. La serie – originale – è prodotta in collaborazione con J. Michael Straczynski, prolifico autore di comics e celebre tra gli estimatori delle serie sci-fi per il cult Babylon 5, e Grant Hill, produttore anche degli altri film dei due registi. In Sense8 otto individui dislocati in altrettante parti del mondo sono vittime di un’allucinazione spaventosa che li mette in contatto mentale l’uno con l’altro: ovunque si trovino possono condividere stati d’animo, emozioni e pensieri. Il gruppetto, in cerca di risposte, viene subito preso di mira da un’organizzazione che li perseguita e si adopera per catturarli, studiarli e poi, auspicabilmente, eliminarli. La serie si presenta come un prodotto di respiro internazionale: i protagonisti abitano a San Francisco, Chicago, Londra, Seul, Mumbai, Berlino, Nairobi e Città del Messico, tanto che le metropoli sono esse stesse personaggi dello show. Sense8 punta a proporre, secondo Michael Straczynski, «qualcosa di mai visto» da comporre come un puzzle ma senza le snervanti attese che hanno caratterizzato altre serie sviluppate attorno a eventi inspiegabili. Nel cast spiccano le figure di Angel – interpretata da Daryl Hannah (Blade Runner) – e Naveen Andrews – attore non alieno alle serie ammantate di mistero come Lost – nei panni di un uomo che si prodiga per far incontrare gli otto protagonisti. Il suo personaggio interseca il proprio percorso con quello del poliziotto di Chicago Will, della blogger transgender Nomi di San Francisco, della dj islandese, (ma trasferitasi a Londra), Riley, dello scassinatore berlinese Wolfgang, della scienziata indiana Kala, dell’attore spagnolo residente in Messico Lito, dell’esperta di arti marziali sudcoreana Sun e dell’autista keniota Capheus. Andrews, attore britannico di origini indiane trapiantato a Hollywood e diventato un’icona del piccolo schermo grazie al ruolo di Sayid in Lost, in Sense8 interpreta il ruolo chiave di Jonas, figura parentale votata ad aiutare i “sensate”, i protagonisti connessi mentalmente. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare questa nuova avventura.
Best Movie: Come descriveresti Jonas, il tuo personaggio in Sense8?
Naveen Andrews: «Daryl Hannah e io interpretiamo quelli che possono essere descritti come i “genitori” di questi individui di grande talento e abilità. Hanno il difficile compito di rivelare loro chi sono e cosa possono fare. Si tratta di un ruolo importante perché è necessario convincerli che quello che sentono è reale, anche se questo significa metterli in pericolo».
BM: Come interpreti il messaggio di questa serie così complessa?
NA: «Personalmente, dopo essere stato messo a conoscenza delle premesse, la considero una serie mai vista prima, che parla del fatto che siamo tutti connessi, ci piaccia o no. In questo momento, in tutto il mondo vengono enfatizzate le nostre differenze politiche, razziali e sessuali; adesso, proprio mentre assistiamo alla crescita dei nazionalismi in Europa, permettiamo alla disgregazione di intaccare tutti gli aspetti della nostra vita. Per me Sense8 corre in senso opposto. Accettare di essere collegati solleva questioni fondamentali: essere in relazione così stretta gli uni con gli altri cambierà le nostre vite?».
BM: Sense8 è incentrata su individui di paesi diversi ed è ambientata in molti luoghi differenti. Tu stesso sei di origini asiatiche, nato in Inghilterra e poi trasferito in America: come hai vissuto questo aspetto dello show?
NA: «In Sense8 i Wachowski cercano di farci notare che come esseri umani, dopo migliaia di anni su questo pianeta, non siamo progrediti, non sappiamo ancora che cosa sia l’integrazione, e questo è tragico. […] Per me, crescere negli anni ’70 in Inghilterra è stata dura. Sono sicuro che molte persone della mia età, di origine indiana e pakistana, abbiano sofferto quello che ho patito io. Il quartiere dove sono cresciuto era popolato da appartenenti alla classe operaia e c’era solo una famiglia indiana lungo tutta la via dove abitavo. Quando mi sono trasferito in America mi sono subito sentito a casa, eppure anche lì non sono stato immune da pregiudizi – visto che provengo dal Regno Unito e ho un accento inglese. È molto importante ricordare che, se non impariamo dalla Storia, non possiamo conquistare nessun tipo di progresso spirituale».
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