[Spoiler] La fine di Mad Men: la nostra recensione della settima e ultima stagione
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[Spoiler] La fine di Mad Men: la nostra recensione della settima e ultima stagione

Un finale dal sapore agrodolce quello di uno dei period drama meglio confezionati della Tv

[Spoiler] La fine di Mad Men: la nostra recensione della settima e ultima stagione

Un finale dal sapore agrodolce quello di uno dei period drama meglio confezionati della Tv

 “I’d like to teach the world to sing in perfect harmony”. Sono le parole di uno degli spot, quello della Coca Cola, più famosi della Storia della pubblicità. Sono anche le ultime che sentiremo dal Don Draper di Mad Men, personaggio tra i più elusivi, controversi e seducenti – ma anche irritanti – del piccolo schermo, ladro d’identità capace di trovare la propria solo nell’ultima inquadratura riservatagli in una serie che in sette stagioni ha coperto un decennio di Storia americana. Mad Men opta per un finale per alcuni versi mesto; chi si aspettava un epilogo tragico per il suo arrogante e disperato protagonista, vincente tra i vincenti “fuori” e perdente tra i perdenti “dentro”, sarà rimasto deluso. Per Don arriva la catarsi – in una comune californiana di Figli dei fiori, lontano dal furore del capitalismo -, dopo aver toccato il fondo, raggiunto tramite una discesa angosciante scandita da tre conversazioni telefoniche con altrettante donne: la figlia Sally, che gli confida lo stato di salute della madre. Betty, perfetta, divina e imperturbabile fino alla fine, la quale sa di non poter contare su di lui. Peggy, la protetta che aveva aiutato quando ad affrontare il nadir della vita era stata lei. Il circolo si chiude, il creatore della serie Matthew Weiner rievoca nel parallelismo con la prima stagione la situazione, ribaltandola, tra la Olson e lui. Ne emerge l’ultima straziante istantanea di un’era e di una specie, la nostra, più misera che felice, più meschina che gloriosa, e più sola che mai.

Mad Men non è (solo) la serie di Don Draper: l’ultima stagione ha prediletto un andamento tutt’altro che frettoloso, descrivendo una società dove il successo, il progresso e la realizzazione professionale e personale passano attraverso il compromesso e la perdita della libertà. La settima annata, man mano che incombe la fine, è tanto più la stagione di tre figure femminili emblematiche, un trittico divino: Betty, Joan e Peggy. Il destino spietato della bellissima e altera ex moglie di Draper – qualcosa di simile a quanto molti si aspettavano per Don -, il distacco e lo stoicismo con cui lo affronta la creatura più imperscrutabile della serie, è il più duro da digerire: per lei un futuro, che sia come moglie trofeo o in qualsiasi altra veste, semplicemente non esiste. Peggy, l’ambiziosa Peggy partita dal nulla, sceglie l’amore al posto di una carriera indipendente lontana dal maschilismo professionale e forse – ma più probabilmente no – “per il 1980 sarà creative director” come auspica mentendo per rincuorarla Pete. É Joan, la meravigliosa Joan, infine – l’assistente troppo abile e troppo in gamba per la società sessista in cui vive – a investire tutto in un’impresa fondata sul suo talento.

Mai come nelle battute finali, Mad Men serve in salsa agrodolce una pietanza difficile da gradire – la dura realtà – meravigliosamente impiattata ma dal gusto aspro. Si conclude così uno show dalla serica perfezione formale, mai tradito – neanche per un attimo – dalla recitazione dei suoi protagonisti (specialmente Jon Hamm, il volto e il corpo di Don), impeccabili rappresentanti attraverso i rispettivi personaggi dei più disparati esemplari della razza umana: ciascun spettatore può ritrovarsi – tanto fortemente da trattenere a fatica le lacrime – in una delle figure di Mad Men. Per questo la serie è e resterà una delle più importanti e indimenticabili della tv, perché dimostra che oltre le mode, oltre la società in continuo cambiamento e le rivoluzione della scienza e della tecnica, l’evoluzione delle relazioni tra uomini e donne quanto del rapporto intimo con se stessi sono immuni al trascorrere del tempo.

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