L’Italia l’ha fatto diventare una star, ma lui ora se ne tiene alla larga. Stefano Accorsi, partito da uno spot del maxibon e arrivato a registi come Avati, Ozpetek, Muccino, Placido, Lucchetti e Moretti, da quattro anni vive a Parigi insieme alla sua compagna, l’attrice e modella Letitia Casta, con la quale da 14 mesi ha anche un figlio, Orlando. Come riportato in un’intervista pubblicata ieri sul Corriere della Sera, della Francia è innamorato e tesse le lodi: «qui si lavora bene, si vive bene, c’è rispetto per la cultura, c’è senso dello Stato». Sulla situazione del cinema in Italia, invece, l’attore bolognese ha qualche appunto da fare: «non sono certo i talenti a mancare. Quel che manca purtroppo è tutto il resto. A cominciare dai film prodotti ogni anno: in Italia una novantina , in Francia 260. E poi un sistema cinema più solido, più ricco, che dia più spazio ad attori, registi e sceneggiatori. Qui si punta ancora sui “generi”, il noir, il poliziesco, la commedia… Da noi sono stati dimenticati. Qui il cinema viene considerato come una delle prime industrie e sostenuto come tale. In Italia chi fa cinema sta in trincea». Anche sulla politica di casa nostra ha qualcosa da dire: «interferisce troppo. Cambia un governo e oplà, cadono le teste. Qui Gilles Jacob è da 30 anni presidente del Festival di Cannes. E nessuno si è mai sognato di sostituirlo». Nella Ville Lumière in questi giorni sta girando Baby Blues, commedia di Diane Bertrand, in cui è un quarantenne sposato che inizia ad andare dallo psicanalista quando la moglie gli annuncia di volere un figlio. In Italia invece tornerà a gennaio, dove ad attenderlo ci sarà Sergio Castellitto per dirigerlo in teatro ne Il dubbio di John Patrick Shanley, in cui Accorsi interpreterà un prete accusato di pedofilia. Sul grande schermo lo vedremo dal 7 dicembre nel poliziesco Triplice Inganno di Jérome Cournou.
© RIPRODUZIONE RISERVATAStefano Accorsi: Vive la France!
L'attore italiano, da quattro anni di casa a Parigi, traccia un confronto tra il cinema transalpino e il nostro che, dice, ha «pochi film e troppa politica»