Dallo scorso febbraio, Roberto Recchioni (fumettista e romanziere, oltre che curatore di Dylan Dog per la Sergio Bonelli Editore) firma su Best Movie “A scena aperta”, rubrica in cui svela i segreti delle scene più belle dei film disponibili in home video.
SCHERMO NERO. 12 NOVEMBRE 2011. L’APOCALISSE.
Interno. Siamo in una stamberga sul mare. La sequenza si apre sul dettaglio di un tavolo. Una candela, un cucchiaio, un limone, un accendino, un posacenere, una bottiglia di birra o vino, e un piatto d’avanzi (immagine 1 della gallery in fondo all’articolo). La colazione dei campioni dei tossici di borgata. Di quinta a sinistra il piede nudo di una donna. La camera sale e si sposta sulla proprietaria del piede. Vediamo le sue gambe e poi le braccia, tumefatte. La ragazza si sta iniettando dell’eroina in vena (immagine 2). Saliamo ancora in un movimento tremulo. Forse camera a mano o forse no, ma con l’intenzione di sembrarlo. Greta Scarano, che nella storia interpreta Viola, la fidanzata di Numero 8, un giovane criminale romano interpretato da Alessandro Borghi. Stacco di montaggio, rimaniamo nella stanza ma ci spostiamo sulla destra dove vediamo appunto Borghi (immagine 3) che si alza in piedi e si dirige verso la Scarano. Altro stacco e siamo di nuovo su di lei, seduta, vista in piano americano laterale. La grammatica di questo primo stacco non è elegantissima ma la nostra attenzione viene subito distratta da un movimento basculante della camera che suggerisce lo stato alterato di Viola. È un dettaglio importante perché, in termini di linguaggio, pone lo spettatore nel ruolo della ragazza tossica, nella sua posizione all’interno degli eventi. Sarà così per tutta la sequenza, anche quando passeremo a sequenze più neutrali. Borghi passa accanto alla Scarano, rifiutando con un gesto di disprezzo la mano che lei gli offre. Rimaniamo con lei per qualche attimo, soffermandoci sul suo essere isolata e separata dal resto di quella situazione. La camera continua a basculare. Con uno stacco ci spostiamo all’esterno, su Numero 8, visto in piano americano, sulla veranda della catapecchia in cui si è rifugiato. Poi su uno degli scagnozzi fuori (4), a difesa della casa. Poi un bel totale dall’alto (immagine 5). Queste inquadrature servono per dare informazioni spaziali allo spettatore. Chi c’è? Dove si trova? In quale posizione è rispetto al luogo in cui si trova? Sono elementi che a Sollima in questa sequenza stanno particolarmente a cuore perché sa bene che la scena funzionerà solo se lo spettatore capirà esattamente la meccanica degli eventi. Il segreto di una scena d’azione e tensione ben riuscita è sempre la definizione precisa dello spazio. Torniamo su Viola che segue Numero 8 osservandolo attraverso la finestrona della stanza. La camera riprende il suo movimento ondulatorio. Poi torniamo sullo scagnozzo fuori (immagine 6). Lo vediamo da un’altra angolazione, cosa che ci permette di seguire il movimento di Numero 8 e di definire ancora meglio le posizioni reciproche. Di nuovo la Scarano. Oltre di lei la finestra e oltre la finestra vediamo Numero 8 che si avvicina a una seconda sentinella su di una sdraio (immagine 7). Gli si rivolge, non essendosi ancora accorto che è morto. A quel punto, da destra, senza nessun preavviso, entra in campo Amendola, il Samurai, il cattivo più cattivo di tutti. Braccio teso, armato. Un colpo alla gamba di Numero 8, poi un secondo al petto. Tutto in campo lungo e in camera fissa, nella falsa soggettiva di Viola che osserva la scena come fosse un incubo. Primo piano sulla ragazza, poi Amendola spara in testa a Borghi. Il suono della pistola, come quelli precedenti, è quasi del tutto attutito dal vetro, dalla distanza, e dalla colonna sonora. Di nuovo su Viola sconvolta e poi torniamo nell’inquadratura usata per mostrare lo scagnozzo la seconda volta. Da sinistra entra un uomo del Samurai che uccide la sentinella mentre, sul fondo a destra, vediamo Amendola che si allontana dal corpo di Borghi. Viola in un urlo muto. La camera ora si inclina paurosamente. Amendola si sta ricongiungendo con il suo uomo mentre vediamo che, sulla destra, un terzo omicidio ai danni di un altro uomo di guardia è stato compiuto. Passiamo a una soggettiva del Samurai che osserva uno scagnozzo agonizzante. Ancora su Viola. Le gambe non la reggono e il mondo ondeggia davanti a lei come davanti allo spettatore. Fuori, in una inquadratura molto dal basso che potrebbe essere la soggettiva della sentinella morente, vediamo Amendola che striscia spalle alle parete per andare da Viola e finire il lavoro (immagine 8). Stacco su di lei che apre una botola e ci caracolla dentro (immagine 9). Assassini alla sua ricerca. Inquadratura verticale (coerente con la visione aberrata dalla droga di Viola) su lei che chiude la botola. Gli assassini che entrano nella stanza dove la ragazza si trovava un attimo prima. La camera qui va fuori fuoco costantemente e si muove come fosse, se non ubriaca, almeno fortemente stonata. Poi usciamo e con un movimento fluido, fortemente descrittivo perché ha il compito di passare un’informazione precisa che deve arrivare chiara allo spettatore, vediamo “il pozzo” sotto la catapecchia sul mare in cui si è nascosta Viola. La Scarano che si tappa la bocca per impedirsi di fare rumore. Amendola desiste: si volta e se ne va. Dettaglio dal basso, attraverso le travi della piattaforma su cui Numero 8 ha trovato la morte. Vediamo il suo occhio verde, e il sangue che cola (immagine 10).
Stacco.
Ho una grande stima e ammirazione per Sollima. È un autore che sta scardinando alcuni odiosi luoghi comuni (come quello che in Italia non si possa fare narrazione di genere) e che ha molto talento e ancora più mestiere. È stato capace di portare in televisione un linguaggio migliore del linguaggio cinematografico che di solito ci impartiscono i registi italiani. Di contro e purtroppo, ogni tanto gli capita di essere un poco televisivo quando si mette a “fare cinema”, specie in quelle sequenze che lo interessano di meno in termini visivi e che sono di mero servizio. Ecco, non è il caso di questa sequenza, che dimostra una consapevolezza assoluta di tutte le informazioni necessarie a una storia per essere servita nella maniera migliore, la capacità di veicolare queste informazioni, e lo stile per farlo in maniera non didascalica o pedante. Questa è sicuramente la migliore sequenza di Suburra, un film che al netto di qualche sbavatura sul genere di quelle a cui accennavo sopra e di un terzo atto un poco debole, merita comunque di essere visto con estrema attenzione.
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