La prima cosa: in Sulla mia pelle non c’è un villain. Uso questa parola nella sua accezione più spensierata. Il villain, il cattivo nel film di genere. Non c’è. E non c’è perché il film di Cremonini, per raccontare la storia terribile della morte di Stefano Cucchi, evita la retorica, frustra le aspettative, non descrive alcun arco drammatico per i suoi personaggi di contorno: l’unico decorso è clinico, è quello di un corpo che si spegne.
Questo non significa che non sia individuata una meccanica all’origine della tragedia, che non ci siano volti e scelte e abusi e vuoti legislativi e connivenze istituzionali, nel testo. Ma il film è scarnificato, attaccato al corpo e al volto irriconoscibile di Borghi.
Muri, sbarre, manette, telefoni, letti d’ospedale, macchine diagnostiche, poca luce e tante ombre. La vita che se ne va in stato di paradosso: forze di protezione che usano violenza; un ragazzo in pezzi che ostacola il proprio soccorso; un sistema di garanzie che non garantisce nessuno; un sistema sanitario che non guarisce e non accerta.
Meno di sette giorni ed è tutto finito.
Non ci sono le botte ma ci sono i lividi (cosa c’è di più tremendo?), perché si mostra solo quanto documentato e passato a processo. Non ci sono i nomi, perché non si cerca il linciaggio. Non c’è un vero dispositivo di denuncia, perché la denuncia è nei fatti accertati, nella persistente mancanza di responsabili.
Piuttosto Sulla mia pelle assomiglia a un boato silenzioso, a un’assenza della ragione e del diritto. Si assiste a una tragedia, se ne conosce la fine, tutto complotta alla sua esecuzione, nessuno ormai può far niente. Si sprofonda.
Gli attori. Borghi, dicevamo, è alla prova che vale un mestiere. Ma sono straordinari anche Max Tortora (ancora, dopo La terra dell’abbastanza, perfetto in un ruolo drammatico) e Milvia Marigliano nei panni dei genitori.
Sulla mia pelle è un film di controllo estremo e rigore estremo. Fa una cosa enorme e terribile: attraverso la tragedia di un singolo uomo svuota di senso il mondo – Stato, Legge, Società. Chiama in causa. Aspetta.