Inauguriamo oggi una nuova rubrica dedicata alla (ri)scoperta di alcuni dei migliori volti del nostro panorama cinematografico e televisivo, tra talenti in ascesa e nomi già affermati, ma che ancora hanno molto da raccontare al loro pubblico. Fa parte di questa seconda categoria il primo protagonista della nostra rubrica: Alessio Vassallo, 40enne attore palermitano di solida formazione teatrale, volto ricorrente del cinema e della serialità italiana degli ultimi anni, in scena dal 30 gennaio al 4 febbraio al Teatro Piccolo di Milano con La concessione del telefono.
Nello spettacolo, tratto dall’omonimo romanzo storico di Andrea Camilleri ambientato nella Sicilia di fine ‘800, Vassallo interpreta nuovamente Filippo “Pippo” Genuardi, piccolo commerciante di legnami e donnaiolo impenitente molto appassionato, in maniera vitale e un po’ donchisciottesca, di tecnologia telefonica: una figura maschile meno conosciuta di Montalbano, ma letterariamente e televisivamente altrettanto nobile e archetipica.
All’ultimo Festival di Torino è stato presentato il film Indagine su una storia d’amore, con la regia di Gianluca Maria Tavarelli, di cui è protagonista, e Vassallo è attualmente sul set della miniserie su Guglielmo Marconi con Accorsi. Nella sua carriera ha recitato in tanti film, dividendosi tra teatro, cinema e tv (diplomato alla Silvio D’Amico, si è formato anche con Luca Ronconi), lavorando sulla sua sensibilità da attore spigoloso, meticoloso e attento. Lo abbiamo intervistato proprio in occasione di questo suo ritorno a teatro.
Alessio, com’è portare a teatro La concessione del telefono dopo averla recitata per il piccolo schermo?
La differenza è che a teatro è come entrare dentro una favola ogni sera, un percorso da ricomporre dall’inizio alla fine ogni volta come i pezzi di un puzzle non composti, è la magia del teatro. Pippo Genuardi è per certi versi un uomo moderno, rappresenta l’idea che i governi passano ma le beghe burocratiche, sentimentali e amorose non cambiano nell’identità dell’essere umano, anche se chiamiamo le cose in modo diverso.
Sei stato anche Mimì Augello ne Il giovane Montalbano, accanto a Michele Riondino. Hai un ricordo personale di Camilleri?
Ricordo l’emozione di quando volle che io e Michele Riondino recitassimo un brano de La confessione del telefono solo per lui, con le macchine da presa spente. Sono quelle situazioni che ti restituiscono un senso di sacralità e che probabilmente racconterai ai tuoi nipoti. Ricevere la sua benedizione diede a me e Michele, con cui sul set si creò un bellissimo rapporto, un punto comune, che poi è la matrice del nostro lavoro: rimanere fedele alla matrice dei testi letterari ma rifarli da un punto di vista umano.
In uno dei tuoi ruoli più intensi sei stato protagonista del film tv La stoccata vincente in prima serata su Rai 1, dove hai interpretato il campione di scherma Paolo Pizzo, che ha vinto un’importante battaglia contro il tumore.
Lì sono partito dal corpo, dalle ossa rotte, mi sono allenato insieme a Paolo e a un personal trailer e ho dovuto molto confrontarmi con l’esperienza della fisicità. È stata un’esperienza totalizzante e unica perché Paolo mi osservava direttamente sul set, ce l’avevo lì, per cui è stato il mio primo spettatore, è stata una grande emozione ma avevo anche una bella responsabilità. Paolo Pizzo è un “cornutazzo” siciliano di 40 anni, proprio come me. Ogni volta che davano lo stop sul set guardavo in faccia lui e dai suoi occhi capivo o no se stavo facendo bene. Mi affascina il grande tema del cadere e del rialzarsi, del dare priorità alla famiglia, ai rapporti umani veri, spesso diamo troppe cose per scontate.
Come scegli i ruoli da interpretare e cosa ti attrae nei tuoi personaggi?
Mi attraggono molto le incrinature e le fragilità, il cercare di fare dei personaggi mai perfetti. Il teatro ha un orologio della memoria molto più saldo, non puoi improvvisare più di tanto, mentre al cinema invece predomina l’emotività e il mezzo ti permette di esplorare, come attore, anche molte delle tue passioni. Mi attrae comunque la forza dei supereroi mancati, che cadono e sprofondano nell’errore ma mantengono un’integrità e una durezza anche nei loro errori.
So che sei molto appassionato di letteratura e leggi tanto.
Sì, leggo davvero tantissimo. Amo in particolare i romanzi lunghi, che mi porto dietro e leggo per mesi, come se mi lasciassero una scia nelle mente e nel corpo, un aspetto che mi diverte e mi stimola molto. Degli scrittori che leggo con immenso piacere sono Murakami, Calvino, penso a romanzi come Le particelle elementari, La vita agra di Bianciardi…
Quali romanzi ami?
Potrei citarti Un amore e Il deserto dei tartari di Buzzati, anche se il mio faro è John Fante. Come diceva Charles Bukowski, John Fante was my god. In generale mi appassionano molto le grandi saghe familiari.
Anche nel cinema?
Certo. Amo il film Una famiglia di Ettore Scola, per non parlare de Il cacciatore di Michael Cimino, con la scena in cui l’uso della canzone I love you baby racconta magistralmente, in mezzo all’alcol e alla catatonia, il prima e il dopo dei militari in Vietnam.
Con Roan Johnson, che ti ha diretto benissimo anche in Fino a qui tutto bene, uno dei film generazionali più belli del cinema italiano recente, si è instaurato un bel sodalizio che è proseguito anche sul piccolo schermo con La concessione del telefono. Quel film ha rappresentato benissimo la generazione dei trentenni, cosa rara nel cinema italiano di oggi.
Sì, è proprio un film su una zona d’ombra alla Joseph Conrad tra l’infanzia e l’età adulta. Nel film si respirava quell’atmosfera da studentato. Quando lessi la sceneggiatura di Roan Johnson gli dissi che era fantastica e che volevo farlo ma lui mi diceva: ma sei sicuro? Guarda che è un film piccolo, con pochi soldi, tu magari sei abituato con Montalbano… uno dei rari casi in cui un regista cerca di dissuadere un attore dal recitare a un suo film, assurdo! Il film comunque andò bene con la critica, vinse anche alla Festa del Cinema di Roma.
Come ti vedono, secondo te i registi?
Alcuni più come tragico, altri più come comico. Tavarelli, ad esempio, è convinto che io sia un attore brillante. È difficile a volte metterli d’accordo!
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