Talenti in Corto: faccia a faccia con Ninni Bruschetta
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Talenti in Corto: faccia a faccia con Ninni Bruschetta

Faccia a faccia con il protagonista del corto di Lisa Riccardi, uno dei tre vincitori dell'edizione 2012 di Talenti in Corto

Talenti in Corto: faccia a faccia con Ninni Bruschetta

Faccia a faccia con il protagonista del corto di Lisa Riccardi, uno dei tre vincitori dell'edizione 2012 di Talenti in Corto

Ninni Bruschetta è uno dei segreti meglio custoditi del nostro cinema. Regista, attore, sceneggiatore, è uno dei caratteristi più talentuosi della nostra tv, ma è anche fondatore di una compagnia teatrale e grande regista di opere Shakespeariane. Ma forse, ironicamente, il ruolo per cui è più conosciuto è quello di Duccio, indolente direttore della fotografia nella serie culto Boris.

Bruschetta è anche co-protagonista di uno dei tre corti vincitori di Talenti in Corto, girato da Lisa Riccardi e che racconta la storia di una ragazzina, Caterina, che sogna di diventare portiere in una squadra di calcio. Bruschetta è il suo allenatore: ecco quello che ci ha raccontato su quest’esperienza. 

Best Movie: Qual è il suo ruolo nel corto?
Ninni Bruschetta:
«Sono l’allenatore di una squadra di calcio giovanile, nella quale giocano anche delle bambine. Una di queste è la protagonista del corto: è una ragazzina che vuole fare il portiere e si ispira a Renè Higuita (portiere della Colombia famoso perché segnò anche parecchi gol in carriera, ndr)».

BM: Com’è stato lavorare con un’esordiente come Lisa Riccardi?
NB:
«Esordiente… si vedeva che questa ragazza era sicura di sé, che aveva del talento per girare, non mi sembrava quasi di lavorare con un’esordiente. Il set era molto ben governato, e quando succede è sempre merito del regista. Io teorizzo sempre che un attore non si accorge assolutamente di nulla quando fa un film, e il suo rapporto con lo spazio, essenziale in qualsiasi opera d’arte, non è lo stesso del regista. L’attore lavora in uno spazio immaginario delimitato dalla sua immaginazione, mentre il regista in uno spazio definito dall’inquadratura. E noi attori non abbiamo la possibilità di capire che cosa è il film e come il regista ci sta lavorando finché non vediamo il prodotto finito. Quindi il regista deve trasmettere fiducia incondizionata nei suoi attori».

BM: Quali altre qualità sono necessarie per essere un buon regista?
NB:
«Soprattutto se parliamo del lavoro di una persona giovane, io valuto il senso della disciplina che riesce a dare sul set; non con durezza, ma con autorità: e in quest’esperienza l’ho sentita molto. Raramente partecipo a progetti del genere, perché mi piace che i giovani quando fanno un film (anche solo di cinque minuti) lavorino non solo per la gloria ma anche per avere una produzione. Non basta l’idea, è importante trovare, e lo dico brutalmente, anche i soldi per svilupparla. Quindi se vedo prodotti con queste caratteristiche, l’unica cosa che riesco a valutare è la padronanza del set».

BM: Ha detto che raramente partecipa a progetti del genere: come mai allora ha detto di sì a questo?
NB:
«L’ho fatta perché mi fido del Premio Solinas: se lo fanno è perché hanno valutato attentamente l’opportunità. Io so come si lavora in giuria con loro perché sono stato anche membro, è una cosa seria e anche faticosa (ride, ndr), e quindi io loro li seguo sempre».

BM: E non si fida dei giovani registi italiani, invece?
NB:
«Mi fido eccome! C’è una dedizione a questo mestiere tra i giovani che… senta, in questo momento stavo leggendo le sceneggiature di alcuni corti di un concorso ispirati al tema dell’omosessualità. E devo dire che sono tutti di una qualità notevole. Perché i giovani sono bravi, lavorano, studiano… c’è una generazione nuova che secondo me, e lo dico con molto dispiacere, è molto migliore della nostra. Io ho cinquant’anni, appartengo a una generazione che comunque è riuscita ad abbracciare, anche se verso la fine, persino il periodo della rivolta studentesca, che sembrava dovesse fare chissà che cosa e invece non ha concluso niente. Pecrhé in questo Paese non c’è stato il cambiamento sperato nell’idea di meritocrazia. Neanche in questo lavoro. Mentre i giovani pensano solo a fare bene quello che fanno, mentre devo dire che nella nostra generazione li vedevi subito, quelli che andavano ad arraffare lo spazio che si volevano ricavare e quelli che invece lo facevano seriamente. Invece nei giovani si è stemperata questa furbizia squallidissima che ha creato i problemi che affliggono il nostro mercato. Quindi sono molto ottimista: in quest’ottica, e in un momento di crisi come questo, è importante che nei giovani ci sia la consapevolezza che l’unico modo di fare le cose è farle per bene. Ed è qualcosa che voi giovani (dice proprio così, e lo ringraziamo per il “giovani”, ndr) avete imparato per contrasto».

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