Talento e ispirazione
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Talento e ispirazione

Due temi fondamentali con cui ogni artista, fumettisti inclusi, deve confrontarsi

Talento e ispirazione

Due temi fondamentali con cui ogni artista, fumettisti inclusi, deve confrontarsi

Il talento, a volte, può essere una maledizione. Perché ti ossessiona, ti costringe a fare e a disfare, a tornare indietro, a tormentarti e a non accontentarti. Per un fumettista è come la voce della coscienza: sussurra, indica, stuzzica. Ma non dà risposte precise e sicuramente non dà risposte definitive. Indica la strada ma non la meta. Ti spinge sul terreno incerto della vaghezza, in una nebbia fumosa, fitta, stordente. E ti allontana dalla solida stabilità del già conosciuto e del già visto. In Terapia di gruppo (Coconino Press), Manu Larcenet parla di ispirazione e di incertezza; parla della condanna della pagina bianca, dell’insicurezza di trovare la storia giusta e delle parole e delle immagini da usare. Soprattutto, Larcenet parla di se stesso per parlare di una generazione intera di autori, di fumettisti e di scrittori. Va avanti e indietro nel tempo, unisce stili, gioca con la dimensione della pagina, con le vignette, e passa da un estremo all’altro in continuazione. È travolgente. Parla della sua vita, e riesce a fotografare una tendenza comune, assoluta, che mette insieme tutti. Talento e ispirazione sono due temi fondamentali della letteratura. Sono una livella come la morte. E dividono in modo netto e chirurgico le persone. In Sandman Neil Gaiman descriveva le due cose come regali e maledizioni, come doni divini e come caratteristiche profondamente umane, sospese tra sonno e realtà. Di ispirazione, spesso, ha parlato anche Gipi; l’ha cercata tra le esperienze vissute e quelle solo immaginate, tra il sapore amaro dei ricordi e quello più dolce, più delicato, delle intenzioni. Per molti autori, avere qualcosa da raccontare è come partecipare a una caccia al tesoro, è come lanciarsi nell’esplorazione di un mondo appena scoperto. Ma è anche un bisogno, un richiamo primitivo e antico.

Mark Millar parte sempre dalle immagini: le disegna, le studia, le coccola e poi finalmente comincia a scrivere. Prima allunga la mano invisibile del sesto senso, del possibile, e solo in un secondo momento prova a tradurre tutto in realtà, sulla pagina. Per alcuni autori, però, l’ispirazione non è solo romanticismo e istinto. C’è anche il duro lavoro, c’è la sfida giornaliera di sedersi, provare e riprovare, di sentire il suono della propria voce e testare le parole, la loro forma, la loro musica. E così il talento viene affilato come una lama, viene utilizzato quando serve, è un aiuto, un sostegno, ma non è tutto.

Nei fumetti, l’unico confine è rappresentato dal limite della pagina. E quindi si può fare e si può dire qualunque cosa, l’immaginazione è libera, senza freni, e l’ispirazione può andare ovunque, cercare qualunque spunto, qualunque appiglio. Lo dimostra ancora Larcenet in Terapia di gruppo: passa dal registro comico a quello drammatico; parla di depressione, di ansia, di famiglia; parla di storia e di teoria del fumetto; parla delle aspettative dei fan e dei pregiudizi della stampa e non esita a sacrificarsi sull’altare della creatività.

 

 

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